Lo storicismo, un nuovo modo di leggere il passato
Lo stravolgimento degli equilibri socio-politici del XIX secolo ebbe notevoli ripercussioni, modificando radicalmente quella che era la concezione filosofica della storia fino a quel momento accettata.
I cambiamenti stravolsero il vecchio continente, interessando più o meno tutte le nazioni, Italia compresa, seppur ancora suddivisa in diversi stati. Nel presente articolo ci soffermeremo proprio su una breve presentazione della situazione nella penisola.
Dal punto di vista artistico, è apprezzabile un cambiamento fin dai primi decenni dell’Ottocento, che andò intensificandosi nella seconda metà del secolo. Se infatti nelle epoche precedenti era possibile distinguere delle correnti ben precise, che pure in alcuni casi guardavano all’antichità del mondo greco-romano, nella seconda metà dell’Ottocento si assistette a un vero e proprio fiorire dei revival. Dal punto di vista della nomenclatura, questi revivalismi presentano il prefisso neo, a suggerire non solo la ripresa, ma anche l’innovazione della quale volevano esser portatori.
Già a fine Settecento, in realtà, il Neoclassicismo aveva in qualche modo anticipato questa tendenza, richiamando elementi dell’antichità classica per dare forma e decorare mobili e suppellettili.
La seconda metà dell’Ottocento fu caratterizzata proprio da questo fenomeno: Neogotico, Neoromanico, Neorinascimento, Neobarocco, Neorococò divennero le correnti stilistiche che contraddistinsero quest’epoca, coesistenti tra loro e spesso fatte confluire all’interno di singoli pezzi, in questo caso trasformandosi in quello stile definito Eclettico, caratterizzato appunto da una miscellanea di elementi stilistici ripresi da epoche differenti. In alcuni casi queste subirono l’influenza anche dell’intramontabile amore per l’esotico, con soluzioni dal gusto orientale come le riprese delle chinoiserie o il neomoresco, dal sapore mediorientale.
Questi stili interessarono le arti a 360°: dall’architettura agli arredi, dalla pittura e scultura alle suppellettili. Gli stili del passato furono riproposti, in alcuni casi riadattati a tipologie di architetture, mobili e complementi che non esistevano.
Ecco che dunque nacquero imponenti credenze a due corpi, fittamente intagliate con motivi che richiamavano il gusto rinascimentale e che presentavano i vetri piombati delle cattedrali gotiche, oppure divani dalle dimensioni oramai ottocentesche, ma intagliati e dorati con poderosi riccioli richiamati dal Barocco.
Concentrandoci maggiormente sugli arredi, nella penisola si affermarono a quest’altezza cronologica diversi ebanisti con le loro botteghe, attivi tanto per la vecchia nobiltà quanto per la nascente borghesia.
La Toscana, e in particolare Firenze, si presentava come una realtà assai florida in questo settore, solo per citarne alcune, le botteghe dei fratelli Luigi e Angiolo Falcini o ancora quella di Francesco Morini.
La prima, assai attiva per le famiglie principali della città, concentrò la sua produzione nella realizzazione di piani di tavoli riprendendo l’intarsio barocco seicentesco, con motivi fogliacei a ricciolo. Come afferma Alvar González-Palacios nel suo Tempio del gusto “… sembrano rifarsi di sana pianta al gusto dominante alla corte degli ultimi Medici e il repertorio
ornamentale sembra tolto di peso dai fioriti calepini usati dai commettitori di pietre dure o dagli ebanisti capeggiati da Leonardo Van der Vinne…”.
Morini fu a capo della sua bottega fiorentina dal 1848 al 1899, diventando uno dei più importanti e prolifici intagliatori della città in questi anni. Lo studio della sua produzione consente di apprendere lo stile dell’intagliatore, caratterizzato da una ripresa di stilemi rinascimentali alla maniera delle grottesche, da lui rielaborati con poderosi intagli e dorature in piena linea con il Neobarocco di gusto eclettico caratteristico dell’epoca.
Anche il Veneto fu molto presente nell’ambito dei revival, con diverse botteghe, spesso a conduzione familiare, attive per diversi anni. Una delle più note fu senza alcun dubbio quella gestita dalla famiglia Panciera Besarel in provincia di Belluno, fondata già negli anni ’60 del Settecento da Valentino senior, l’esponente più noto fu il bisnipote Valentino junior, specializzatosi nella realizzazione di mobili di rappresentanza e attivo con una propria bottega a Venezia.
Frequentò per alcuni anni l’Accademia di Belle Arti della città lagunare e successivamente quella di Firenze, ma il vero e proprio successo arrivò a seguito della sua partecipazione alla Prima Esposizione Nazionale nel 1861, dove propose due opere ispirate all’arte del conterraneo Andrea Brustolon; sei anni più tardi arrivò
anche il riconoscimento internazionale, grazie alla sua presenza all’Esposizione Universale parigina.
Il suo stile è appunto caratterizzato prevalentemente da una rivisitazione sfarzosa del barocco, con una ricchezza di intagli fogliacei e putti che spesso si aprono all’esotismo con la presenza di mori chiaramente derivati dal suo modello ideale di riferimento, Brustolon.
Anche Torino e Genova furono due centri considerevoli in tal senso, con figure come Gabriele Capello detto il Moncalvo e Henry Thomas Peters che, sotto la direzione di Pelagio Palagi furono tra i principali fautori di revival del classicismo e del gusto gotico. (si veda l’articolo di approfondimento “I protagonisti della restaurazione sabauda tra Piemonte e Liguria”)
In Lombardia uno dei nomi di spicco fu Giuseppe Speluzzi (guarda l’articolo di approfondimento “Giuseppe Speluzzi”), attivo a Milano per alcune delle più importanti committenze cittadine.
Se deve essere senza dubbio ricordato l’incarico diretto da parte del Comune per la realizzazione di uno stipo come dono per le nozze della regina Margherita di Savoia, certamente uno degli impegni più noti e considerevoli fu quello per il nobile Gian Giacomo Poldi Pezzoli (guarda l’articolo di approfondimento “Poldi Pezzoli”).
Con il suo rientro in patria dall’esilio a causa della partecipazione ai moti insurrezionali del ’48, egli proseguì il riallestimento del palazzo di famiglia, in pieno gusto revival e chiamando alcuni dei principali artigiani attivi all’epoca, sotto la direzione dell’artista Giuseppe Bertini.
Tra questi anche lo stesso Speluzzi, attivo nella Sala Nera del palazzo, dedicata al Neorinascimento di gusto nordico, realizzata per ospitare il polittico fiammingo e così chiamata per il rivestimento in ebano di pareti e soffitto, purtroppo distrutti dai bombardamenti alleati del ’43.
Giuseppe Speluzzi, Libreria, già collezioni FineArt by Di Mano in Mano
Qui Speluzzi realizzò le notevoli porte, caratterizzate da cerniere in metallo che si trasformano in veri e propri elementi decorativi. Ma il nostro artigiano fu autore anche di arredi da collocarsi in altri ambienti del palazzo, come le mensole, le consolle e le sedie Neobarocchetto per la Sala Gialla, eseguite tra il 1870 e il 1876 e, ancora, altre sedute neorinascimentali.
Queste in particolare, presumibilmente realizzate su disegno di Bertini, dimostrano il fortunato sodalizio tra i
due: alta qualità dei materiali ed esecutiva delle forme e i motivi decorativi dimostrano non solo la grande abilità artigianale di Speluzzi, ma anche l’innovazione stilistica, con motivi stilistici che in qualche modo sembrano anticipare il Liberty più avanguardistico di Carlo Bugatti.
D’altronde fu proprio questo il merito dello storicismo di pregio, non solamente riproporre il passato in modo statico, ma trasformarlo e rielaborarlo secondo i gusti e le necessità più contemporanee.