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Ninfa e Fauno, Giuseppe Siccardi, anni venti del XX secolo

Sculture Pendant in Bronzo

Giuseppe Siccardi 1883- 1956

Descrizione:

Si tratta di due sculture pendant realizzate in bronzo e raffiguranti due figure mitologiche, una Ninfa e un fauno. Le sculture sono firmate sul basamento “G. Siccardi”.

Ninfa:

Per quanto riguarda la figura femminile, si tratta di un’opera figurativa appartenente al genere mitologico: il soggetto raffigurato è una ninfa.

Le ninfe (Νύμϕαι, Nymphae) erano divinità minori, legate al culto della natura. Immaginate come geni femminili, vergini o giovani donne, erano simbolo della forza vitale della natura stessa. Albergavano in ruscelli, fiumi, laghi, alberi, boschi, grotte; erano note per la loro benevolenza verso i mortali e spesso intrecciavano storie amorose con divinità, umani e abitanti del bosco. Le ninfe erano denominate con nomi differenti in base all’elemento naturale vitale: acqua (sorgenti, fiumi, laghi), Naiadi (Νηιάδες o Ναιάδες, Naiădes) o terra (foreste, monti), Driadi o Amadriadi (Δρυάδες, ‘Αμαδρυάδες Dryădes, Amadryădes).

Raramente venivano rappresentate da sole, frequentemente invece in compagnia di Pan, dei Satiri o anche di Ermete.

La figura, a grandezza naturale, è stante; la testa leggermente inclinata, il viso allungato e ben proporzionato; lo sguardo fisso rivolto in avanti, il naso dritto e le labbra socchiuse. La capigliatura è semplice, non particolarmente definita, con scriminatura centrale e capelli raccolti dietro la nuca. Il braccio destro è ripiegato verso il petto con la mano aperta rivolta verso l’alto, il braccio sinistro invece è steso lungo un fianco a reggere la veste. Gli arti inferiori sono disposti a chiasmo rispetto a quelli superiori: la gamba destra è tesa e quella sinistra è flessa.

Il chiasmo è una tecnica compositiva che consiste nella disposizione della figura umana secondo un particolare ritmo che ricorda l’andamento della lettera χ: si tratta di una particolare disposizione in cui le parti creano un incrocio dove a un arto inferiore flesso corrisponde un arto superiore del lato opposto teso, e viceversa.

I piedi sono leggermente sfalsati in posizione asimmetrica; la giovane indossa sandali ed è abbigliata con una veste lunga fino ai piedi; una sottile striscia di tessuto cinge il petto della giovane, mettendone in evidenza il seno; le spalle sono scoperte, mentre gli arti superiori sono avvolti da una stola/mantello. Il panneggio è abbastanza fluido e morbido.

La scultura segue un’unica direttrice essenziale cioè la figura della ninfa. Prevalgono linee di andamento verticale; la superficie è monocroma. La contrapposizione tra il panneggio verticale della veste e quello diagonale/orizzontale della stola, e i vari chiaroscuri conferiscono alla statua un maggiore senso di tridimensionalità ed equilibrio. La figura è ben proporzionata e composta: il modellato è essenziale, le dimensioni sono calibrate ed equilibrate.

Dimensioni: 156 x 58 x 34 cm

CODICE: ANTBRO0000295

Fauno:

Per quanto concerne la figura maschile si i tratta, qui più evidentemente, di un’opera figurativa appartenente al genere mitologico: il soggetto raffigurato, anche se decisamente umanizzato, è un Satiro.

Il Satiro (σάτυρος, sátyros), figura mitica maschile compagna di Pan e Dioniso, era una divinità minore, personificazione della fertilità e della forza vitale della natura. Essere semi divino dei boschi, il Satiro è rappresentato con corpo e membra umane, ma orecchie (e spesso anche corna), coda (e talvolta zoccoli) caprine. Considerati i corrispondenti maschili delle ninfe, vivevano anch’essi nelle solitudini dei monti o dei boschi, cacciando, danzando e suonando la zampogna, il flauto o le nacchere. Insieme alle ninfe stesse e alle baccanti si associavano al corteo di Dioniso (Bacco).Nell’antica religione romana il satiro è noto come “fauno”. I Fauni, corrispondenti italici di Pan e Satiri greci, sono descritti come esseri metà caprini con zoccoli e corna di capra.

A grandezza naturale, la figura, è stante. La testa è inclinata verso sinistra e orientata verso il basso nell’atto di suonare la zampogna. Il viso allungato e ben proporzionato: gli occhi attenti, lo sguardo fisso, impegnato; il naso leggermente adunco, le labbra sottili e serrate. Le sopracciglia sono marcate e la fronte corrugata, a evidenziare lo sforzo dovuto all’insufflazione dell’aria (ben visibile nella zona tra le sopracciglia). L’ atto di suonare è ben definito dalle gote rigonfie. Un accenno di barba in corrispondenza del mento richiama i tratti “caprini” tipici dei satiri: il pizzetto caprino è allungato, molto ben definito, con andamento morbido e terminazione a W.

La testa è cinta da un sottile nastro terminante con ampi e lunghi lembi che scendono lungo la schiena e le spalle (uno centrale più largo e quattro laterali, due per parte, più stretti).

Sul capo sono visibili due piccole corna caprine. I capelli, disegnati da piccole incisioni con ombre delicate, sono leggermente mossi, morbidi sulla fronte, e con due ciocche più lunghe e arricciate (boccoli) in corrispondenza delle orecchie.

La zampogna – tipico strumento a fiato di origine e carattere pastorale – è costituita da una sacca di accumulo dell’aria (otre) di forma ovale e molto allungata: l’effetto del riempimento è ben reso da giochi chiaroscuro e da una realizzazione molto accurata.

Lo strumento presenta tre canne sonore di lunghezze differenti inserite in un ceppo a cui è collegato l’otre: come da consuetudine, una sola canna presenta fori digitali necessari per l’emissione della melodia, le altre, prive di fori e quindi a intonazione fissa, fungono da accompagnamento.

Le braccia sono piegate e le mani intente a sostenere e suonare la zampogna. Le dita sono affusolate: nella mano sinistra tre sono libere mentre anulare e mignolo coprono due fori della canna; nella mano destra invece quattro dita sono legate allo strumento e solo l’indice è libero.
La resa è fluida. Gli arti inferiori sono uno steso e l’altro flesso: la gamba sinistra, leggermente arcuata, sostiene il peso del corpo, mentre quella destra, piegata, poggia su un basamento.

Il modellato della muscolatura segue i movimenti degli arti: il quadricipite femorale sinistro è teso e rigido, mentre quello destro è rilassato.

L’apparato muscolare è tonico. Il giovane satiro è nudo; un lungo mantello, verosimilmente una pelle di pecora, copre solo parte delle braccia, del petto e i genitali. Il corpo, finemente realizzato, presenta una muscolatura ben delineata, vigorosa, in particolare in corrispondenza del bacino e delle spalle. La scultura segue un’unica direttrice essenziale cioè la figura del satiro. Prevalgono linee di andamento verticale; la superficie è monocroma. Il movimento degli arti superiori e inferiori, unito a quello delle dita, l’espressione del volto, e la resa della muscolatura conferiscono alla statua un senso di equilibrato realismo. La posa è naturale.

La figura è ben proporzionata e composta: il modellato è ricercato, le dimensioni sono calibrate e armoniose.

Dimensioni: 152 x 56 x 52 cm

CODICE: ANTBRO0000296

Analisi storico-stilistica:

Giuseppe Siccardi (Albino, 18 luglio 1883–Bergamo, 18 gennaio 1956), figlio di un marmista, fu allievo di Ponziano Loverini all’Accademia Carrara di Bergamo.

Nel 1906 vinse una borsa di studio che gli permise di frequentare a Roma i corsi della scuola Libera di nudo di Ettore Ferrari, dove studiò le opere dei maestri del passato.

Nel 1921 espose alla Mostra Internazionale d’Arte Sacra di Milano e nel 1922 eseguì la lapide alla memoria di Cesare Tallone. Nel 1936 fu presente alla Triennale di Milano, esponendo poi in molte città italiane.

Fra le sue sculture vanno segnalati diversi monumenti ai Caduti o opere raffiguranti personaggi del panorama artistico locale: ne sono esempi significativi il busto di Gariele Camozzi- patriota- realizzato a Dalmine (foto) e la statua raffigurante Giovan Battista Moroni (foto), pittore della zona bergamasca attivo nel 1500, commissionata al Siccardi dal Comune di Albino.

Tra le opere di carattere civile meritano una citazione le due statue scolpite per la facciata del Palazzo di Giustizia a Bergamo raffiguranti il Diritto e la Legge.
Palazzo dei Giustizia Bergamo
Statua Palazzo Giustizia Bergamo

Opere sacre figurano in molte chiese del territorio: a Dalmine, fuori dalla Chiesa parrocchiale di S. Giuseppe, nei quattro angoli del sagrato sono collocate quattro statue in ceppo gentile di Brembate raffiguranti S. Antonio da Padova, S. Rita da Cascia, S. Giuda Taddeo, S. Tommaso d’Aquino.
A Como, sulla facciata della Basilica del Santissimo Crocifisso, due statue bronzee con le figure di S. Paolo e S. Pietro.

A Bergamo, presso la Parrocchia di San Salvatore, Siccardi realizza gli altorilievi dei pennacchi dedicati ai quattro grandi dottori della Chiesa: S. Bernardo, S. Alfonso, S. Anselmo e S. Cirillo.

Confrontando le opere in esame in particolar modo con la statua della LEX del Palazzo di Giustizia di Bergamo, si nota come il gusto delle sculture analizzate sia ancora morbido e seppure il modellato risulti veloce e di getto, come tipico in quell’epoca, l’eleganza e la gentilezza dei due effigiati ci lascia un sapore di Liberty, un ricordo in un tipo di scultura che sta andando a irrigidirsi e militarizzarsi. Si può fare un immediato confronto sul panneggio della Lex e quello della nostra Ninfa. Il Palazzo di Giustizia venne inaugurato nel 1925, pertanto si può supporre che le due sculture qui descritte siano di poco precedenti.

Como, Basilica del Santissimo Crocifisso

Bibliografia:

– Alfonzo Panzetta, Nuovo Dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento e del primo Novecento, 2 vv., Adarte, Torino 2003.

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Antiquariato, Arte e Design

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