La grande ed eterogenea ricchezza degli arredi, dipinti e suppellettili torinesi è senza dubbio legata alle facoltose committenze sabaude. Tra le più longeve e importanti casate italiane, quella dei Savoia fu una famiglia tanto attiva politicamente, quanto culturalmente.

Del resto è ormai noto come l’arte e la cultura più in generale siano storicamente usate dai nobili e potenti come strumento di autorappresentazione, e quindi affermazione, del proprio orgoglio dinastico. Ne consegue come le principali corti italiane ed europee concorrano a ingenti commissioni per i propri palazzi di rappresentanza e dimore di residenza, arredate in modo opulento e sfarzoso.

L’ascesa dei Savoia, e dunque l’avvio dei principali cantieri, si ebbe a partire dalla metà del XVII secolo e proseguì fino alla metà dell’Ottocento, seppur con qualche interruzione a causa dei francesi, prima alla fine del Seicento e poi con la discesa degli eserciti napoleonici un secolo più tardi.

Queste incursioni portarono alla distruzione di numerose delizie della nobiltà e alle dispersioni, parzialmente arginate negli anni della Restaurazione, quando il dominio dei Savoia fu ripristinato.

Il periodo di massimo splendore fu quello tra le due invasioni: con la rifondazione dello stato e il rinato orgoglio dinastico sabaudo, il Settecento fu caratterizzato da una nuova spinta artistica. Innumerevoli cantieri videro il loro avvio nel XVIII secolo, inizialmente con il genio di Filippo Juvarra, chiamato dalla Sicilia nel 1714 e attivo nella capitale sabauda per un ventennio.

L’estro dell’architetto è apprezzabile in particolar modo nella residenza di Stupinigi, dove poté costruire dal nulla, senza i limiti di edifici preesistenti. A questi succedette Benedetto Alfieri, il cui stile si contraddistinse per imperante gusto barocchetto di chiara derivazione francese.

Palazzina di caccia di Stupinigi

Solamente dal 1780 il Neoclassicismo trovò spazio nelle botteghe dei mobilieri e minusieri torinesi, aprendosi alla nuova moda imperante europea, in un ottica di rinnovamento delle residenze reali. La regia passò ad altre due grandi personalità: il Primo Architetto reale Giuseppe Battista Piacenza, spesso coadiuvato da Carlo Randoni, e Leonardo Marini, costumista al Teatro Regio e successivamente anche arredatore d’interni e ornatista, con la carica di «disegnatore ordinario della camera e del gabinetto del Re».

Sotto la direzione di questi erano attivi numerosi artisti e artigiani, altamente specializzati nelle varie tecniche lavorative per realizzare arredi scenografici ma raffinati.

Tra questi il nome che spicca su tutti è certamente quello di Giuseppe Maria Bonzanigo, intagliatore assai raffinato e in grado di farsi apprezzare tanto dai Savoia quanto dalle autorità imperiali con la dominazione napoleonica, per poi tornare all’attivo per la casa sabauda con la Restaurazione. La sua attività per la famiglia reale è ampiamente documentata dai documenti archivistici e resa nota grazie al lavoro di Alessandro Baudi di Vesme grazie alla redazione delle omonime schede.

È del 1773 il primo pagamento per “dissegni, lavori di cornici, e varj ornamenti di scultura fatti nel corr.e anno”, dove il nostro figura attivo assieme ad altri cinque intagliatori.

Giuseppe Maria Bonzanigo, Ritratto di Bodoni, 1770-1800 ca. Asti, Museo Civico

La sua bravura fu tale che l’anno successivo fu ammesso all’Accademia di San Luca, fino a quel momento destinata solo agli artisti “maggiori”, ossia pittori e scultori, mentre gli artigiani mobilieri erano rimandati all’Università (ossia Corporazione) dei minusieri ed ebanisti.

Questo dato riveste un certo rilievo, non solo perché testimonia il riconoscimento da parte ella comunità artistica dell’attività di Bonzanigo, ma anche perché dimostra come questi si dedicasse prevalentemente al disegno e alla decorazione a intaglio degli arredi, mentre la parte strutturale era rimandata a un minusiere (di frequente Giovanni Gallinotto).

Nel 1787 fu nominato “scultore in legno” di Vittorio Amedeo III:

«La particolare abilità e perizia dimostrata dallo scultore in legno Giuseppe Maria Bonzanigo nell’eseguimento de’ diversi travagli statigli da parecchi anni a questa parte ordinati per nostro servizio, e di quelli singolarmente che ha in ultimo luogo con singolare maestria perfezionati, invitandoci a dargli un contrassegno della nostra beneficenza, ci siamo disposti a stabilirlo nostro scultore in legno, allo oggetto anche di maggiormente animarlo a distinguersi nell’arte suddetta […] coll’annuo stipendio di lire duecento».

Palazzina di caccia di Stupinigi, salotto

Proprio a metà degli anni Ottanta Bonzanigo aveva lavorato a Stupinigi e probabilmetne sono proprio questi i lavori ai quali si fa riferimento nella nomina reale; alla fine dello stesso decennio fu attivo negli Appartamenti dei Duca d’Aosta a Torino e alla Venaria. Sempre le carte ci danno uno spaccato di come la bottega di Giuseppe Maria Bonzanigo, a questa altezza cronologica, dovesse essere già ben avviata: dal censimento delle arti risultano presenti tredici collaboratori.

Come è ben comprensibile, le forniture reali si interruppero nel 1799 con la discesa delle truppe francesi ma, come già si è accennato, la sua grande capacità fu quella di riconvertire la propria arte per realizzare opere apprezzate dal nuovo pubblico.

Proprio in questi anni Bonzanigo iniziò a produrre microsculture sapientemente realizzate grazie alla propria capacità di fine intagliatore.

Questi oggetti appartengono a uno dei filoni più noti e ricercati, in particolare dai numerosi turisti che proprio in quegli anni sceglievano l’Italia come meta dei loro viaggi e che acquistavano questi curiosi oggetti come colti souvenirs da riportare in patria. La produzione dei microintagli proseguì anche durante gli anni della Restaurazione, anche grazie all’affermazione sempre maggiore del Grand Tour, che vide la presenza di un gran numero di stranieri di passaggio verso le rovine archeologiche di Roma e del sud Italia.

Giuseppe Maria Bonzanigo, paravento (particolare), appartamenti Reali, Palazzina di Caccia di Stupinigi

D’altro canto, ripresero anche le committenze reali, tanto che nel 1820 Bonzanigo fu impegnato in due cantieri per le residenze reali: la Sala da Ballo, detta Rondò, in Palazzo Reale per la quale realizzò quattro porte e altrettanti trumeau intagliati; successivamente nel castello di Govone, in particolare nei gabinetti del re e nella camera da letto della regina.

La sua grande abilità nell’intaglio e soprattutto la sua grande inventiva, fanno di Bonzanigo l’intagliatore neoclassico dei Savoia più apprezzato e noto al giorno d’oggi. Come già si accennava, seppur sotto la direzione di personalità come Piacenza e Marini, al nostro spetta sovente l’idea e il disegno stesso dei mobili poi realizzati. Dai suoi progetti emerge infatti l’abilità di un artista che, pur non essendosi mai spostato da Torino, fu in grado di recepire, facendole proprie, la cultura figurativa italiana ed europea più alla moda, esente da provincialismi.

Se Bonzanigo figura come artista di spicco, egli non fu però l’unico a ottenere la nomina di scultore del legno di Sua Maestà. Già prima di lui, Francesco Bolgiè era stato nominato nel 1775, per essere affiancato quattro anni dopo da Giuseppe Antonio Gianotti. Particolarità del secondo è che fu mandato a Parigi, per perfezionare la propria tecnica, solo successivamente alla nomina e non prima, come invece parrebbe più logico.

Durante la sua carriera Bolgiè fu ampiamente apprezzato dalla casa sabauda, tanto da poter vantare uno stipendio sempre maggiore rispetto a quello dei due colleghi e venendo anche egli richiamato con la Restaurazione (tra l’altro anche lui fu attivo nella decorazione della nuova sala da ballo in Palazzo Reale).

Fracesco Bolgiè, Consolle (particolare), Torino, 1790 ca.

La sua fortuna critica, oggi quanto allora, appare però secondaria rispetto a Bonzanigo. Di frequente relegato in secondo piano, se risulta aver licenziato quantitivamente un numero maggiore di arredi per la famiglia reale, più difficile è l’attribuzione di pezzi realizzati per committenze altre.

Certamente a concorrere a questa difficoltà vi è il fatto che per lo più Bolgiè si avvaleva di disegni di Marini per la realizzazione dei mobili, non essendo egli stesso inventore. Inoltre, seppur attivo durante gli anni del dominio napoleonico, la sua capacità di riadattare la propria arte non fu pari a quella di Bonzanigo.

Continuando nella sua attività di costruttore di mobili, non fu in grado, come il collega, di capire la richiesta della nuova clientela, specializzandosi appositamente nella realizzazione di un oggetto che trovava una sua specificità di mercato, come gli eleganti microintagli altamente richiesti dai viaggiatori.