La natura morta è raffigurata in un ambiente esterno, seppur privo di sfondo paesaggistico: su un terreno argilloso e brullo poggiano un vaso metallico ad anfora e alcuni ruderi architettonici o massi squadrati dalla mano dell’uomo, tutti nella stessa gamma cromatica del marrone rossastro; in mezzo, una varietà disordinata di piccoli fiori variopinti, pianticelle selvatiche e infestanti, di cui un gran mazzo debordante dal vaso centrale, molti invece sparsi sul terreno, già colti oppure ancora interrati, emergenti dai ruderi e dalle fenditure del terreno. A terra, a sinistra, si notano due pere, isolate; sulla destra svolazzano, leggere, due libellule.
La metà superiore dello sfondo è monocromatico seppur sfumato, di un colore verde-azzurro che richiama un cielo serale, ma completamente privo di elementi naturalistici.
È peculiare proprio il contrasto cromatico netto tra le due parti separate trasversalmente, che crea due sfondi differenti per i colori vivaci dei fiorellini: quello più scuro e solido della terra nella parte inferiore, quello luminoso e sfumato del cielo nella parte superiore.
Il dipinto è stato ritelato, si presenta in condizioni molto buone, con qualche impercettibile traccia di ridipintura; presentato in cornice non coeva.
Dimensioni: 90 x 140 cm
Secondo la perizia di Gianluca Bocchi, questa natura morta, databile alla prima metà del XVIII secolo, appartiene a quell’ampia produzione di tele a soggetto floreale che furono realizzate in quel periodo a Venezia e assegnate alla produzione del Maestro dei fiori guardeschi, ovvero a quella cospicua serie di opere tutte contraddistinte da una delicatezza di tratto, da una leggerezza compositiva e da una apparente asimmetria nella struttura delle parti, attribuita a lungo, ancora nel tardo ‘900, al celebre artista veneziano Francesco Guardi.
Secondo Bocchi in realtà la produzione comprendente l’opera qui proposta fu realizzata anteriormente a quella di Guardi, che cominciò solo intorno al 1750 a trattare tale tema, ma è piuttosto riconducibile alla bottega veneziana facente capo alla famiglia Duramano.
Fondata nell’ultimo quarto del XVII secolo dalla misteriosa Madama Duramano, la bottega raggiunse il suo apice con il figlio Francesco, specializzandosi nella produzione e nel commercio di quadri a soggetto floreale. Come ricorda anche Bocchi nella sua perizia, emblematica è la descrizione che ne fa Guarienti alla metà del secolo, lodandone il virtuosismo pittorico e la fortuna sul mercato internazionale, essendo molto richiesti da importanti collezionisti internazionali.
Il nostro dipinto presenta caratteristiche stilistiche pienamente riconoscibili e peculiari della produzione di Francesco, caratterizzata da freschezza cromatica, luminismo scenico e virtuosismo tipico del gusto rococò. La scenografia impiegata è tipicamente veneziana, con rocce squadrate infestate da piante e fiori selvatici e sulle quali si trovano piatti e vasi metallici con composizioni floreali. Lo sfondo è neutro, realizzato a risparmio e per questo caratterizzato da una tonalità grigio-azzurra con marezzature rossastre.
Tali composizioni scenografiche venivano realizzate spesso per essere inserite in boiserie o in cornici murali, come elementi decorativi ariosi e luminosi nel più tipico stile rococò. Spesso in queste composizioni erano presenti anche animali, presenti anche nel nostro dipinto nella forma di due vezzose libellule.
-G Bocchi, I pittori di fiori a Venezia nella prima metà del Settecento. Il ruolo dominante di Francesco Duramano, in Francesco Guardi nella terra degli avi. Dipinti di figura e capricci floreali , Trento, Castello del Buonconsiglio, 6 ottobre 2012 – 6 gennaio 2013, Trento 2012.
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