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Gruppo di commessi di pietre dure e marmi rari; composto da quattro formelle poste entro cornici modanate dorate a mecca. Il gruppo, costituito da coppia di temi speculari, ha come soggetto degli uccelli appollaiati su di un ramo fiorito e affiancati da una farfalla svolazzante, scena inserita entro filettatura rettangolare e realizzata interamente ad intarsio su fondo di paragone. Tre delle formelle recano al retro una scritta parzialmente leggibile “B..igida Nucci E..ede Falconcini”. Tutte le cornici nascevano ebanizzate, dorate in antico in un secondo momento, e presentano al rovescio il marchio impresso a fuoco effigiante una stella a cinque punte sormontata da Capo d’Angiò, mentre solo due riportano la frase latina “Bartolomei Antoni Loci Tenentis De Buonvicinis”.
Dimensioni formelle (HxL): 10×12.5 cm; Dimensioni cornice (HxLxP): 14.5×17.2×2.5 cm.
CODICE: OGANOG0250862
Il commesso fiorentino nasce nella seconda metà del Cinquecento, in seguito al recupero umanistico della tecnica romana dell’opus sectile, procedimento artistico che utilizzava marmi tagliati per realizzare pavimentazioni e decorazioni murarie a intarsio. La tecnica del commesso, caratterizzata dall’impiego di marmi colorati e pietre dure, vede a Firenze una predilezione per le seconde, le quali vengono utilizzate per realizzare bellissime composizioni di soggetti naturalistici con fiori, animali e frutti, ma anche vedute cittadine o copie di celebri dipinti, sapientemente accostate in modo tale da ottenere risultati molto vicini alla pittura. A differenza di Roma, dove questa tecnica troverà applicazione quasi esclusivamente come rivestimento architettonico, nel capoluogo toscano il commesso venne adoperato nell’ambito sia dell’arredo liturgico (paliotti), sia dell’arredo pubblico e privato di lusso, tra cui ricordiamo ad esempio la realizzazione di piani di tavolo, stipi e quadri. Con l’obiettivo di creare oggetti artistici di assoluto valore, destinati ad arredare le dimore granducali o ad essere offerti in dono, nel 1588 Ferdinando I de’ Medici istituisce a Firenze l’Opificio delle pietre dure, riunendo in un’unica manifattura gli artigiani del settore attivi presso la corte. Tale istituzione, operante tutt’oggi in materia di restauro, continuò la sua attività anche sotto la dinastia dei Lorena, impegnandosi per oltre tre secoli, fino alla fine del XIX secolo, nella decorazione della Cappella dei Principi in San Lorenzo, mantenendo la tecnica esecutiva sostanzialmente invariata.
È proprio all’interno di questo contesto culturale e filone produttivo che il nostro gruppo di commessi vede la luce, nati nella prima metà del Seicento potevano essere destinati ad abbellire i cassetti di uno stipo o, come in questo caso inseriti in cornici indipendenti come piccoli quadretti. Le cornici nascono ebanizzate e solo successivamente dorate a mecca. Ciascuna presenta al retro il medesimo marchio impresso a fuoco, effigiante una stella a cinque punte sormontata da Capo d’Angiò (“[…] tre giglio d’oro, posti fra i quattro pendenti di un lambello di rosso”), mentre solo due riportano la scritta a china “Bartolomei Antoni Loci Tenentis De Buonvicinis”. Il marchio, con buone probabilità elemento distintivo d’inventario e quindi di proprietà, è l’indicazione più antica pervenutaci. Dopo aver effettuato una ricerca abbiamo riscontrato una forte somiglianza con lo stemma della famiglia Buonvicini, attribuzione peraltro che ben si concilierebbe con la scritta a china appena riportata, contenendo quest’ultima un chiaro riferimento alla casata e verosimilmente apposta sulla cornice in un secondo momento rispetto al marchio. Gli esponenti della famiglia Buonvicini vengono segnalati “come discendenti di una lunga serie di priori e gonfalonieri, iniziata da Giovanni di Buonvicino nel 1395 […]” e “[…] ottennero l’ascrizione alla nobiltà di Pescia per decreto del I° marzo 1773.” Ci è però impossibile ricondurre con assoluta certezza il marchio a tale famiglia, sottolineando il fatto che il loro blasone differisce in quanto prevede una stella “[…] di 8 raggi d’oro.” Inoltre, il sigillo potrebbe anche essere un riferimento manifatturiero cittadino e non familiare, essendo il Capo d’ Angiò si indicativo delle famiglie tradizionalmente appartenenti alla fazione Guelfa, ma al contempo anche dei comuni storicamente soggetti allo stesso partito, trovandosi per tale motivo spesso nelle armi Toscane e di Romagna.
Passando ora all’analisi della scritta a matita parzialmente leggibile situata sul verso di tre delle formelle, essa costituisce, a nostro modo di vedere, l’indicazione di proprietà più recente. “B..igida Nucci E..ede Falconcini”, verosimilmente “Brigida Nucci Erede Falconcini”, restituisce il nome di Brigida Nucci, nobildonna nata Falconcini che ha poi acquisito il cognome del consorte Orazio Nucci e della quale abbiamo testimonianze grazie alle Carte Nucci, un fondo di documenti e lettere inerenti all’attività economica e familiare, conservati negli Archivi di Stato di Pescia (sezione dell’Archivio di Stato di Pistoia) e digitalizzati all’interno del catalogo dell’Archivio di Stato di Firenze, i quali ci permettono di ricondurre tra la fine del XVIII e la prima metà del XIX la produzione epistolare della donna e di conseguenza il suo periodo di attività, pur non conoscendo con esattezza le date di nascita e di morte. I Nucci e i Falconcini furono due delle famiglie più importanti della nobiltà pesciatina: “La famiglia Nucci, pur di antica origine, sino alla fine del secolo XVI appartenne alla nobiltà minore e solo con l’elezione di Pietro, Giureconsulto, a Rettore Generale dello Studio di Pisa, una parte di essa fu passata a quella maggiore. […] La famiglia, considerata tra le più ricche di Pescia nel XIX secolo, si estinse nell’anno il 1898 […] Il patrimonio Nucci era cospicuo: comprendeva molti poderi, numerose case fra le quali il bel palazzo che si trova a fianco della Cattedrale appartenuto un tempo alla famiglia Orlandi-Cardini. “; prestigio ebbero anche i Falconcini, definiti come “[…] una nobile e ricca famiglia pesciatina ma di origini volterrane. Il primo dei Falconcini a risiedere in Pescia fu Benedetto, in qualità di Proposto (carica che corrispondeva allora a quella di Vescovo) nel 1684, inviatovi dal Papa. Sistemò con un buon matrimonio con una nobile pesciatina suo nipote Falconcino […] Questa famiglia ha inoltre avuto Segretari di Stato nel Granducato, con Persio attorno al 1630 […]”. Sono infine state aggiunte una serie di numerazioni sulle cornici di carattere tardo ottocentesco, le quali però non contribuiscono a fornirci alcuna informazione utile.
In conclusione, pur non avendo evidenze inequivocabili sui passaggi di proprietà delle formelle nel corso del tempo, possiamo affermare a buon diritto che gli antichi commessi siano stazionati per un determinato periodo nelle collezioni personali di alcuni esponenti dell’aristocrazia della città di Pescia.
González-Palacios A., Pittura per l’eternità. Le collezioni reali spagnole di mosaici e pietre dure, Longanesi & C., Milano, 2003, p. 101.
Giusti A.M., Pietre Dure. L’arte europea del mosaico negli arredi e nelle decorazioni dal 1500 al 1800, Collana Archivi di Arti decorative, Umberto Allemandi & C., Torino, 1992, pp. 61,177,192, 202.
Giusti A.M., Splendori di pietre dure. L’arte di Corte nella Firenze dei Granduchi, Giunti Editore, Firenze, 1988, p. 149.
https://archiviodistatofirenze.cultura.gov.it/memoriadonne/cartedidonne/cdd_08_pera.pdf
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