Pietro della Vecchia, Armigero 1650 ca. Olio su tela

Descrizione:

È qui presentato il ritratto di una spavalda figura di armigero, anzi si può ben dire di un “bravaccio secentesco”, che sta facendo l’atto di sguainare la spada.
Il cipiglio fiero quasi feroce, l’arma e la corazza contrastano con l’eleganza del suo abbigliamento, in particolare con la ricchezza degli sbuffi delle maniche in raso rosso, uguale a quello del cappellone guarnito di piuma.

La figura emerge dallo sfondo completamente buio e le ombre accentuano i riflessi di luce sul metallo della corazza, sul raso dell’abito, sugli sprazzi di pelle chiara del viso e delle mani, che emergono tra la pelosità incolta e selvaggia.

Dimensioni:
cm 118 x 92
con cornice cm 146 x 120 x 9

Codice Prodotto: ARARPI0290434

Analisi Storico Stilistica.

Evidente è nel gioco di luci e ombre l’impronta caravaggesca, anche se nello sfavillio del costume così come nell’espressione accentuata, quasi grottesca, dell’uomo si ritrova la connotazione giorgionesca tipica del Della Vecchia, che, nell’esecuzione dei ritratti e delle figure, “copia” dal pittore veneto l’approfondito interesse psicologico, arrivando fino ad una esasperazione quasi grottesca dei tratti.

L’opera qui presentata compare nel testo “Raccolta d’arte adunata dal prof. Giovanni Scarpitti – Illustrata per il senatore prof. Adolfo Venturi” (collezione Alfa, Roma, anno 1939, pag. 110-111).

Il catalogo presenta ciascuna opera dell’importante collezione (250 dipinti che spaziano dal XIV sino all’inizio del XX secolo) corredata di fotografia e di breve descrizione bilingue o trilingue (italiano, francese, inglese), redatta dal prof. Venturi ad autentica dell’attribuzione dell’opera stessa (è riportata anche la fotografia del testo manoscritto e firmato dal Venturi).

Il Venturi avalla l’attribuzione della nostra opera a Pietro Della Vecchia, facendone una brevissima descrizione e corredandola anche delle misure.

Adolfo Venturi (1856-1941) è stato un importante e rinomato storico dell’arte, che per primo ha introdotto un sistema scientifico di catalogazione delle opere d’arte, conciliando lo studio dell’opera con quello dei documenti relativi ad essa e corredandolo con illustrazioni e fotografie.

La pubblicazione delle sue opere volte a fornire strumenti di approfondimento ed aggiornamento professionale sul tema degli inventari e dei cataloghi, nonché del restauro e della tutela delle opere d’arte, gli valsero numerosi riconoscimenti e il ruolo di collaboratore prima (a partire dal 1888) e direttore poi (dal 1898) dell’Archivio storico dell’arte a Roma; dal 1889 fu docente della prima cattedra di storia dell’arte alla Sapienza di Roma.

La catalogazione precisa e documentata di una collezione come quella dello Scarpitti ad opera del professor Venturi (che nell’introduzione del testo sottolinea l’importanza storica delle collezioni private a salvaguardia di molte opere d’arte e ad integrazione del patrimonio artistico pubblico), contribuiva ad avvalorarne l’importanza e l’autenticità.

Biografia.

Nato a Vicenza da famiglia veneziana nel 1602/1603, Pietro della Vecchia studiò pittura inizialmente a Venezia, tra il 1619 e il 1621, con Carlo Saraceni e Jean Le Cler.

Dal 1622 al 1626 è documentata la sua presenza a Roma, dove ebbe contatti con i caravaggeschi e soprattutto con la colonia francese, conoscendo ivi il futuro suocero Nicolas Régnier, pittore e mercante d’arte, e il pittore detto Candlelight Master (1579-1650).

Rientrato a Venezia dopo il 1635, il Della Vecchia lavorò probabilmente per un periodo nella bottega del Padovanino, che influenzò il suo interesse per l’arte del XVI secolo.

È a partire da tale periodo, difatti, che comincia la produzione da parte del Della Vecchia e della sua bottega di moltissime opere nello stile dei maestri del Rinascimento, soprattutto i veneti: un’interminabile serie di quadri nello stile di artisti quali Giorgione, Tiziano, Romanino, Palma il Vecchio e il Bassano, imitazioni ma eseguite spesso in maniera notevolmente ingegnosa, nei quali dai contemporanei venivano riconosciuti esempi di virtuosismo e che, secondo l’ottica del secolo XVII, erano ritenuti molto apprezzabili.

La sua abilità nel riprodurre lo stile dei maestri veneti del XVI secolo gli valse, dal suo contemporaneo Marco Boschini, il soprannome di “Simia Zorzon” (imitatore di Giorgione), seppur il critico stesso dicesse di lui: “E queste imitazioni non sono coppie, ma astratti del suo intelletto, bensì per imitare i tratti Giorgioneschi” (Boschini, 1660).

Secondo alcuni studiosi, addirittura il cognome “Della Vecchia” sarebbe un modo per definire la sua maniera, uno stile artistico che sottolineava in modo particolare la ripresa dei modelli dei grandi del Cinquecento veneto, più che da intendersi come il suo vero cognome.

Parallelamente, l’artista produsse opere anche in stile più consono alla modernità del suo secolo.

Gli anni ’40 e ’50 sono per il Della Vecchia un periodo di fervente e intensa attività: infatti si dispiega tra opere di vario genere, dai cartoni per i mosaici marciani (in quanto pittore ufficiale della Repubblica di Venezia, ricevette la commissione per la realizzazione dei cartoni dei mosaici della Basilica di San Marco, attività che lo tenne impegnato dal 1640 al 1673), alle opere religiose, ritratti, allegorie, soggetti storici e le celeberrime “teste” che, unite alle “risse”, vogliono imitare non solo la mano, ma anche i temi di Giorgione, analogamente alla produzione di personaggi maschili abbigliati con abiti cinquecenteschi oppure soldati «dagli elmi impennacchiati e corazze lucenti».

Della Vecchia era noto per i suoi dipinti di soldati, detti “bravi”, con ampi cappelli piumati, di cui realizzò numerose varianti e versioni. Alcuni di tali dipinti raffigurano singoli soldati, altri li mostrano in scene di genere.

Il successo di tali figure portò purtroppo anche a un’ampia replica di tali soggetti da parte della sua bottega, influendo negativamente sulla reputazione postuma del Della Vecchia.

Dal 1650 si risente nelle sue opere l’influenza dei primi modelli caravaggeschi, evolvendo verso una maggior drammaticità, culminante nel ciclo di tele (sette in origine, ma ne rimangono solo due: La conversione di Francesco Borgia e Marco Gussoni nel lazzaretto di Ferrara) per il chiostro della chiesa dei gesuiti di Venezia, realizzato tra il 1664 e il 1674.

Tali opere, sotto influenze diverse, risultano caratterizzate da tematiche macabre, da effetti di luci spettrali, da una quasi soffocante mancanza di spazio nella composizione, caratteristiche che le fanno restare isolate nella produzione pittorica veneziana del XVII secolo.

Nella fase tarda della sua vita il Della Vecchia ritornò a produrre quadri religiosi più ordinari, che guardavano ad autori precedenti, ma anche soggetti storici più brillanti.

Inoltre, nel quarto e quinto decennio del secolo, il Della Vecchia intrattenne a Venezia forti legami con il mondo libertino dell’Accademia degli Incogniti, realizzando alcune opere che rappresentano i pensieri matematici, filosofici e cabalistici coltivati in quell’ambiente, in alcuni casi trattandoli seriamente e in altri rendendoli ridicoli con immagini scabrose.

Pietro Della Vecchia morì a Venezia nel 1678.

Immagine di Antiquariato, Arte e Design

Antiquariato, Arte e Design

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