Quando Carlo di Borbone divenne sovrano di Spagna nel 1759, decise di trasferire qui non solo la sua corte, ma anche la Manifattura di porcellane di Capodimonte da lui fondata.

Questa operazione si tradusse in un vero e proprio esodo di tutti i lavoranti e delle loro famiglie, assieme agli strumenti del mestiere: la volontà era quella di ricreare nel paese iberico l’unicità della manifattura partenopea, senza che potessero essere replicate l’alta qualità e l’originalità dei prodotti, tanto che i macchinari inamovibili, come fornaci e vasche, vennero distrutti per evitarne il riutilizzo.

Se da un lato questa chiusura fu vista come un aspetto assolutamente negativo, dall’altro comportò una vera e propria cesura con quella che fu la successiva produzione della Real Fabbrica Ferdinandea.

Nel 1771 Ferdinando IV, figlio di Carlo, decise infatti di istituire una nuova fabbrica destinata alla produzione e decorazione di porcellane. Un cambiamento vi fu anche nell’impostazione della manifattura stessa, rivista con quell’intento didattico e formativo in precedenza del tutto assente, così come il puntare su maestranze e artisti locali per la direzione dei lavori.

Angelica Kauffmann, Ritratto della famiglia di Ferdinando IV, Capodimonte
Angelica Kauffmann, Ritratto della famiglia di Ferdinando IV, 1782, Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli

Fu ravvisabile anche un vero e proprio stravolgimento stilistico, non più mirante a una internazionalizzazione della produzione, ma a una dimensione più locale, caratterizzata da una freschezza e da una genuinità che invece oramai mancavano alle grandi produzioni europee.

La cesura fu rimarcata anche dalla scelta iniziale di una nuova collocazione per la manifattura, un fabbricato presso la Villa di Portici a Napoli, i cui lavori di riadattamento si conclusero nel febbraio del 1772.

Ma già nello stesso anno, una volta divenuto direttore lo spagnolo Tommaso Perez, per volontà dello stesso Ferdinando fu cercata una nuova soluzione per trasferire la fabbrica all’interno di Palazzo Reale, disponendo che qui venissero portati anche gli strumenti sopravvissuti dalla manifattura paterna.

Il problema più grande, a quel punto, era avere artisti che fossero in grado di produrre porcellane di alta qualità e originali allo stesso tempo; ma non appena si sparse la voce della riapertura della fabbrica vi furono numerose richieste, inclusi artisti che avevano seguito Carlo in Spagna ma che, per diverse motivazioni, erano rimpatriati.

Gli anni Settanta furono in realtà caratterizzati da un rodaggio della Real Fabbrica, una vera e propria sperimentazione, e nella produzione di questi anni è possibile trovare delle caratteristiche, come la decorazione a monocromo, ereditate dalla manifattura di Carlo, che successivamente si persero a favore di una dimensione pittorica, grazie ad artisti quali Antonio Cioffi, Francesco Celebrano (che ricoprì il ruolo di direttore artistico) e Chiari.

Galleria delle Porcellane, Museo Nazionale di
Capodimonte, Napoli
Galleria delle Porcellane, Museo Nazionale di
Capodimonte, Napoli

Se la produzione si caratterizzò immediatamente con una forte impronta locale, nella seconda metà del decennio, questa fu fortemente influenzata dal gusto francese, con i motivi “alla Sèvres” che iniziarono a soppiantare quelli tipici di Capodimonte, certamente anche seguendo i gusti della regina Maria Carolina d’Austria; a questo periodo appartiene infatti vasellame con forme ispirate a quelle rocaille, ornato con decorazioni floreali.

La pasta del “periodo Perez” era di tipo morbido, anche se spesso sporcata da granelli neri o macchie giallognole: una variante meno precisa di quella già realizzata durante la manifattura di Carlo. Anche la vernice, con la sua sfumatura virante verso l’avorio, era simile a quella in uso già a Capodimonte, e solamente più avanti fu sostituita da uno smalto più brillante.

Real Fabbrica Ferdinandea, Servizio Ercolanese
Real Fabbrica Ferdinandea, Piatto appartenente al Servizio Ercolanese, 1781-1782

A seguito della morte di Perez nel ’79, fu nominato Intendente Domenico Venuti, abile organizzatore, sotto la cui direzione si ebbe il periodo di massimo splendore della Fabbrica.

Il Venuti apportò inoltre importanti modifiche stilistiche, e fu in grado di aggiornarle di anno in anno, in base alle mode più richieste del momento.


Una vera e propria duttilità tanto nella decorazione quanto nella costituzione e realizzazione della pasta.

Se da un lato continuò la produzione alla maniera di Sèvres, quello che veramente fece la fortuna della Fabbrica fu un filone più prettamente nostrano: personaggi tipici in abiti regionali si alternano a vedute e a rielaborazioni di motivi classici, certamente sulla scia delle importanti scoperte archeologiche di Pompei ed Ercolano.

Dell’83 è il celebre Servizio Etrusco, fedele riproduzione di alcuni dei vasi conservati presso il Museo di Capodimonte, voluto dal re come dono per Giorgio III d’Inghilterra.

Real Fabbrica Ferdinandea, Piatto appartenente al Servizio Ercolanese, 1781-1782

Ma la Real Fabbrica Ferdinandea non fu ingaggiata solamente per questo presente, lavorando anche ad altre porcellane da destinarsi alle principali corte europee, come per il Servizio Ercolanese da mandarsi al padre Carlo: un vero e proprio manifesto pubblicitario per presentare la raffinatezza e il nuovo stile delle porcellane partenopee.

Oltre a queste importanti commissioni, buona parte dell’impegno era dedicato alle ricerche per una nuova pasta, di tipo duro, e a quelle per un’adeguata vernice di copertura, al cui proposito vennero chiamati due esperti fiorentini, Giuseppe Bruschi e Nicola Pintucci, unitamente all’impiego di nuovi e moderni macchinari, e a un viaggio esplorativo sull’isola d’Elba per procurarsi argille adeguate.

La produzione di questi anni, e fino al 1788, fu caratterizzata dal monogramma FRF, ossia Fabbrica Reale Ferdinandea.

Il 1788 fu infatti un anno spartiacque, non solamente per l’introduzione della N coronata in sostituzione del vecchio marchio, ma anche per una differente modalità di realizzazione della pasta, con il ritorno a una porcellana tenera e a motivi decorativi floreali più semplici, maggiormente apprezzati e richiesti da un pubblico più ampio.

Impegno di Venuti di questi anni fu, infatti, quello di individuare e coltivare nuove vie di commercio per le porcellane di ordinaria produzione e, per tale motivo, ipotizzare un ampliamento della manifattura sia a livello strutturale che di nuovi macchinari.

Real Fabbrica Ferdinandea, Servizio decorato all’etrusca, 1790-1800 ca., Museo delle Porcellane, Firenze

Ma i tentativi di allargare le aree di mercato si rivelarono vani, spesso a causa dell’inadeguatezza delle stesse industrie borboniche o di altri cavilli burocratici. A dare poi un colpo di grazia alla Manifattura di porcellane vi fu la breve occupazione francese del 1799: al rientro di Ferdinando dall’esilio palermitano, il re accusò Venturi di aver adottato una politica filofrancese, costringendolo di fatto alle dimissioni e a un allontanamento dalla città.

Al suo posto venne provvisoriamente istituito Ugolino Ganucci, che successivamente coadiuvò il nuovo direttore nominato: Don Felice Nicolas. Pur dovendo riconoscere l’applicazione e l’impegno di questi, il livello di cultura e la volontà di dare un preciso indirizzo artistico alla Fabbrica non erano minimamente paragonabili a quelle del predecessore, dovendo essere invece egli considerato prettamente un direttore amministrativo, lasciando piuttosto una maggiore autonomia a tecnici e artisti.

Il declino della manifattura era oramai avviato e anche le commesse reali si diradarono sempre più.

La vera conclusione della Real Fabbrica Ferdinandea si ebbe nel 1806, con il ritorno dei francesi e la nuova fuga di Ferdinando in Sicilia: il nuovo governo era più interessato a supportare la borghesia emergente piuttosto che le fabbriche reali.


Il 10 maggio del 1807 venne firmato l’atto di cessione della manifattura della porcellana fra il governo francese e il signor Giovanni Pulard Prad, con l’obbligo però di trovare un’altra sede e costretto a chiudere definitivamente nel 1820.

Bibliografia di confronto:

Elena Romano, La porcellana di Capodimonte, L’Arte Tipografica, Napoli, 1959;

Angela Carola Perrotti, La porcellana della Real Fabbrica Ferdinandea (1771-1806), Edizione Banco di Napoli, 1978.