Scomparso prematuramente a soli 41 anni, Joe Colombo (al secolo Cesare) è tra i più compianti designer italiani.

Nato nel 1930 a Milano, si diplomò presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, per iscriversi successivamente alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano, senza mai completare il ciclo di studi. Figlio di un piccolo industriale milanese, la vena creativa era certamente nel suo DNA, tanto che anche il fratello Gianni era attivo come artista nel panorama artistico di quegli anni. A partire dagli anni Cinquanta iniziò la sua attività di progettista e designer, con una breve parentesi alla fine degli anni Cinquanta quando, a seguito della morte del padre, decise assieme al fratello di rilevarne l’attività dedicata alla realizzazione di conduttori elettrici.

Ma il richiamo della progettazione architettonica e degli arredi era tale che nel 1961 decisero di vendere l’impresa di famiglia e Joe poté tornare alla sua vera passione.

Nel 1964 riuscì finalmente ad aprire un proprio studio di design nella città meneghina.

“Avremo i telefoni in tasca”, questa frase, confidata a Gae Aulenti, riassume il pensiero fondante della filosofia progettuale di Joe Colombo. La lucida lungimiranza alla base della sua idea di progetto mostra un designer in grado non solo di prevedere il futuro, ma anche di portarlo in essere nelle sue opere.

Fortemente debitore dei nuovi materiali, Colombo fu in grado di proporre non solo architetture, ma anche arredi che anticipassero scelte formali e materiche che avrebbero preso piede nella produzione industriale anni, se non decenni dopo. Esempi emblematici sono i concept abitativi degli anni Sessanta, come la Minikitchen, un unico blocco compatto che diventa una cucina a tutti gli effetti, in grado di adattarsi a spazi e contesti differenti, potendo essere anche movimentata grazie alle rotelle.

Minikitchen, Joe Colombo per Boffi, 1964

Certamente anche grazie all’attività di famiglia, Joe entrò in contatto con i nuovi materiali figli dell’industrializzazione e che la sua abilità fu in grado di declinare nella realizzazione di architetture e, ancora di più, di arredi.

Caso emblematico è quello della Elda Chair, poltrona ideata nel 1963 e prodotta solo due anni dopo da Concept (attualmente da Longhi). Il nome è un omaggio alla moglie, Elda Baiocchi, che sposò nel 1959. Colombo decise di sostituire la tradizionale scocca in legno, usata tradizionalmente per le poltrone, con una struttura in vetroresina, materiale abitualmente impiegato per la costruzione di barche; la parte interna presenta invece sette cuscini tubolari rivestiti in pelle.

In questo arredo, il designer fu in grado di coniugare funzionalità con la resa estetica.

Colombo pose infatti una particolare attenzione alla fruibilità della poltrona: lo schienale avvolgente, i cuscini ergonomici, la possibilità di rotazione a 360°, consentono la massima mobilità e una grande comodità nell’utilizzo.

Citando lo stesso Colombo, viene garantito un “relax psichico”.

Guardando la Elda si nota subito l’attenzione che Colombo pose anche nella progettazione formale, con uno sguardo a linee futuristiche, quasi aerospaziali. Siamo proprio negli anni dei primissimi viaggi spaziali, accompagnati da film e serie tv fantascientifiche. Sono i tempi della Space Age, la moda ispirata a queste nuove scoperte. Ecco che quindi che la Elda viene usata nei set cinematografici: la si ritrova in episodi di Star Trek, Spazio:1999 e nel più recente Hunger Games, ambientato in un futuro distopico.

Il catalogo di Joe Colombo è vasto e dimostra la grande capacità del designer di anticipare i tempi con intuizioni geniali, prodotti modulari e in grado di combinarsi in diverse soluzioni, per adattarsi alle esigenze dei nuovi spazi e della nuova società.

Ma la lucidità dei progetti di Colombo dimostra come abbia cercato non solo di rispondere alle esigenza della sua contemporaneità, ma di anticipare i tempi, riuscendo a prevedere quali necessità e traguardi avrebbero raggiunto i posteri.