Dolore ed empatia, dai dipinti alla rappresentazione cinematografica
La raffigurazione del dolore nella storia dell’arte è storicamente legata alle immagini della Passione, anche se la sua rappresentazione iniziò a essere affrontata solamente in epoca più avanzata.
Le primi immagini che rappresentano Cristo sono infatti i Crocifissi, e, dall’Alto Medioevo fino almeno al XIII secolo la modalità più diffusa fu quella del Christus Triumphans (Cristo Trionfante). Questa peculiare tipologia si contraddistingue per la figura di Gesù dal volto inespressivo, a rappresentarlo non sofferente, ma anzi trionfante sulla morte.
Fu a partire dai primi decenni del Duecento che invece si iniziò ad affermare quella che è la raffigurazione a oggi più nota e dalla quale derivarono anche i crocifissi di epoche successive, ossia quella del Christus Patiens.
Il Cristo Dolente presenta il Redentore in atteggiamento sofferente, il capo reclinato sul petto e il corpo con i segni del martirio. Questa rappresentazione, di matrice bizantina, ebbe larga diffusione dapprima in Italia centrale, per poi essere impiegata in tutto il mondo occidentale. Fu particolarmente apprezzata da Francescani e Domenicani, grazie alla forte carica emotiva che questa modalità rappresentativa era in grado di trasmettere.
Il Cristo Dolente, infatti, mirava a suscitare nello spettatore compassione e dunque renderlo umanamente più vicino alle vicende della Passione.
Tra i primi a recepire questo cambiamento fu Nicola Pisano, che già negli anni Trenta del Duecento realizzò diversi Crocifissi con questa modalità. Uno dei più celebri successori fu Cimabue, in particolare con la tavola realizzata per la chiesa fiorentina di Santa Croce, fortemente danneggiata a seguito dell’alluvione del 1966. In quest’opera egli fu infatti in grado di raggiungere una resa più veritiera, avvicinando ancora di più Dio all’uomo, rispetto alle precedenti raffigurazioni quasi antinaturalistiche contraddistinte da una netta suddivisione della muscolatura.
Nasce una nuova religiosità, nella quale la figura divina si avvicina all’uomo, ne condivide la sfera emotiva e anche l’umanità stessa è chiamata in prima persona a partecipare al dolore della divinità.
Questa nuova concezione influenzò fortemente, come si è visto, anche le rappresentazioni sacre, volte a una forte resa patetica per il coinvolgimento spirituale dei fedeli: riuscire ad avvicinare lo spettatore anche emotivamente lo rende più consapevole e partecipe.
Ecco che, dunque, le rappresentazioni della Passione e in particolare degli eventi successivi alla morte di Cristo ebbero, a partire dal Trecento, una grande diffusione.
Uno dei primi e più noti esempi è il Compianto realizzato da Giotto, al principio del XIV secolo, nella Cappella degli Scrovegni a Padova. L’affresco è carico di un forte pathos, reso sia dalle diagonali compositive che accompagnano lo sguardo dello spettatore verso la figura distesa di Cristo, ma soprattutto dagli atteggiamenti.
La descrizione dei personaggi, dalle loro posture alle espressioni del viso, mira a una resa fortemente drammatica: sono colti nel momento culminante di disperazione, in un vero e proprio digradare verso il fulcro compositivo ed emotivo costituito dal volto esanime del Redentore e da quello contrito della Vergine.
La rappresentazione corale del momento successivo alla deposizione dalla croce è una modalità prettamente diffusa in area italiana e Giotto ne contribuì certamente all’apprezzamento e alla sua raffigurazione.
Se ben noti sono gli esempi pittorici, più rari ma altrettanto suggestivi sono i Compianti scultorei. Questi apparati tridimensionali sono anzi forse più evocativi, con figure dalle dimensioni reali se non maggiori, si è davanti quasi a una vera messa in scena teatrale, come nel gruppo conservato presso la cattedrale di Crema.
Assai diffusi sono anche i Calvari, solitamente posti entro una nicchia, a presentare il Crocifisso centrale accompagnato ai lati dalla Vergine e san Giovanni Evangelista, in atteggiamento affranto e, per l’appunto, spesso chiamati anche Dolenti.
Proprio i Dolenti delle collezioni FineArt by Di Mano in Mano trovano un posto d’onore dell’allestimento della mostra “SORELLA MADRE. L’interpretazione francescana di Valentina Cortese con la regia di Franco Zeffirelli”, presso la chiesa di Sant’Angelo a Milano, dal 8 dicembre 2023 al 7 gennaio 2024. L’evento, curato da Elisabetta Invernici, è stato realizzato in occasione del centenario della nascita dell’attrice, rivolgendosi a una delle sue interpretazioni cinematografiche meglio riuscite, ossia quello della madre di san Francesco d’Assisi nel film “Fratello sole, sorella luna” girato nel 1971 con la regia di Franco Zeffirelli.
Il percorso propone una serie di tavole fotografiche in bianco e nero, dalle quali si evincono chiaramente i modelli iconografici studiati da Zeffirelli e dalla Cortese: la Vergine dell’Annunciazione e la Mater Dolorosa del Compianto.
Nella mostra è chiaramente mostrato come il tema del dolore venga trasversalmente affrontato in differenti forme artistiche, dalla pittura si arriva alla sua trasposizione cinematografica, partendo da un retroterra linguistico noto alle masse, riconoscibile e di immediato impatto emotivo.
Questo accostamento ha il grande merito di sottolineare come la rappresentazione dei dolenti tocchi corde ancestrali del sentire umano, una forte carica psicologica che secoli fa così come oggi è in grado di trasmettere e giocare empaticamente, coinvolgendo e avvicinando ancora di più lo spettatore alla rappresentazione divina.