Secondo un’antica leggenda tramandataci da Plinio il Vecchio (Naturalis Historia), l’invenzione del vetro ebbe luogo in Siria sulle rive sabbiose del fiume Belo, a opera di mercanti fenici di nitro che, intenti ad armeggiare con il fuoco in un accampamento, crearono il nuovo materiale in maniera puramente casuale. Nonostante questo racconto non sembri trovare conferma nelle evidenze archeologiche, le quali datano un primo utilizzo di materiale vetroso (paste vitree decorative) al III millennio a.C. in area mesopotamica, esso ci rimanda a una dimensione quasi mitica dell’atto creativo, ben comprensibile dato l’alto grado di difficoltà di produzione che rese il vetro molto raro almeno fino al I secolo a.C., quando venne introdotta la tecnica della soffiatura.

Pur credendo imprescindibile un’analisi più dettagliata della storia del vetro nelle varie epoche, in questa sede ci focalizzeremo solo su una delle tappe fondamentali, corrispondente alla nascita del vetro artistico così come lo concepiamo ora, caratterizzato da forme e metodi di lavorazione nuovi, in netto distacco con i modelli stilistici rivolti al passato che fino ad allora avevano caratterizzato la produzione artistica vetraia europea.

Questo bisogno di innovazione, che affonda le proprie radici nella metà del XIX secolo, nasce in risposta allo scarso livello qualitativo introdotto sul mercato con la produzione industriale, denunciato dapprima da John Ruskin in occasione dell’Esposizione internazionale di Londra del 1851, e combattuto nella seconda metà del secolo dai neonati movimenti per il rilancio e la valorizzazione delle arti decorative e dell’artigianato, primo fra tutti l’Art & Craft in Gran Bretagna.

Se dovessimo definire la genesi del vetro d’arte con un’unica frase, penso che questa potrebbe essere ragionevolmente “tornare al passato senza guardare al passato”, dove il primo passato simboleggia l’alto grado di perizia tecnica raggiunto dalle società di arti e mestieri nel periodo pre-industriale, merce sempre più rara al tempo, mentre il secondo rappresenta, come accennato poco sopra, un repertorio stilistico ormai cristallizzato in forme e tipologie canoniche legate a un gusto che guarda all’antico.

Questo contesto socio-culturale portò alla nascita dell’ Art Nouveau (conosciuto anche come stile floreale o Liberty), un nuovo stile che per primo introdusse i concetti di design e architettura nella sua accezione contemporanea.

Immagine tratta dal sito www.lamagiadelvetro.it

Fu la Francia e in particolar modo la città di Nancy, centro situato nella regione del Grand Est, a dare i natali a una delle personalità riconosciute a livello mondiale tra i fondatori e i massimi esponenti della lavorazione del vetro artistico francese, pioniere del nuovo movimento. Émile Gallé (Nancy 1846 – 1904) pose le basi per lo sviluppo del suo stile unico fin da bambino, crescendo circondato dalle arti decorative e viaggiando fin da ragazzo per tutta Europa, in cerca di nuove tecniche e ispirazioni. Nel 1877 subentrò al padre nella fabbrica di famiglia dopo un primo periodo di approccio e sperimentazione con il vetro smaltato: ciò gli permise di cimentarsi con le prime creazioni definite “Trasparenti”, caratterizzate da vetri soffiati decorati a smalti traslucidi.

Forti furono in lui le passioni per la natura (botanica e mineralogia) e per la filosofia, che furono prontamente riflesse nelle sue opere fino ai tardi anni ’80 dell’Ottocento, dapprima con la produzione dei vetri “Opachi”, tra i quali ricordiamo gli effetti imitanti il marmo, l’agata e altre pietre dure, e successivamente con i “verres parlant”, decorati a incisione con versi e strofe di celebri poeti sia contemporanei che del passato, tra cui menzioniamo Baudelaire, Paul Verlaine, Dante Alighieri e Shakespeare.

Un altro dei suoi maggiori interessi fu quello nei confronti dell’arte orientale e dei motivi iconografici e stilistici ispirati al Giappone, passione sviluppata in giovane età e giunta a maturazione alla fine del XIX secolo, in linea con la forte influenza che l’oriente ebbe in questo periodo sull’arte occidentale. Nella produzione di Gallé tale influsso si manifestò con forza non solo nell’apparato decorativo, ma anche nelle forme vascolari e nelle firme, quest’ultime con un’impostazione e chiari rimandi alla calligrafia nipponica.

Ma ciò che segnò maggiormente la produzione di Émile fu introdotto a partire dagli anni ’90, stiamo parlando del vetro “cammeo”, cosiddetto per la somiglianza con i cammei prodotti dalla lavorazione di conchiglie, osso e pietre dure fin dall’antichità. Esempi di vetro “cammeo” in realtà si ritrovano già a partire dall’età imperiale romana, ma la grande innovazione che Gallé portò fu l’industrializzazione del processo grazie all’utilizzo della tecnica della lavorazione ad acido fluoridrico. Questa tecnica venne utilizzata per la gran parte della produzione Gallé, sia per la resa stilistica e la perizia che permisero di mantenere inalterato il grande valore artistico delle opere, sia perché la produzione di vetri in serie permetteva di ridurre drasticamente i tempi di lavorazione, rendendo così la sua arte accessibile ad un pubblico sempre crescente.

Menzione speciale merita infine la tecnica della “marqueterie-sur-verre”, una sorta di intarsio a caldo di vetri di diverso colore, che rappresenta una produzione limitatissima eseguita negli ultimi anni dell’Ottocento, per via dell’elevato costo e della grande difficoltà della tecnica.

La produzione Gallé proseguì anche dopo la sua morte (1904), fino alla chiusura definitiva dello stabilimento per decisione del suo ultimo direttore, nonché genero, Paul Perdrizet, avvenuta nel 1936. Da questo momento in poi, durante tutto il XX secolo, fu immessa sul mercato una grande quantità di falsi che, seppur spesso realizzati con un buon grado di virtuosismo, differiscono dagli originali per la qualità inferiore e per alcune incongruenze legate ai motivi decorativi o alla firma, non sempre di facile individuazione.

Émile Gallé non fu però l’unico artista geniale del movimento Art Nouveau con base a Nancy. Infatti, durante gli ultimi anni del XIX secolo, iniziarono le prime esposizioni di arti decorative e industriali della Lorena nelle quali gli artisti di Nancy presentavano le loro opere in maniera collettiva, dimostrando un’unità d’intenti che raggiunse il suo culmine con l’istituzione, nel febbraio 1901, dell’École de Nancy, un consorzio nato per promuovere l’influenza culturale-artistica della città e dell’intera regione, valorizzando industrie e artigianato, creando una scuola e conseguentemente un museo e delle esposizioni connesse. L’associazione, diretta da Gallé, raggruppava personalità del calibro di Louis Majorelle e vetrai artisti come i fratelli Daum, quest’ultimi eredi della leadership nel settore del vetro decorato francese dopo il 1904.

Auguste e Antonin Daum, diedero all’azienda avviata dal padre nel 1878 una svolta artistica, portandola al successo e curandone la crescita durante tutto il periodo dell’Art Nouveau. Antonin (1864-1930), a capo della direzione artistica della ditta di famiglia dal 1891, fu l’artefice principale di questo successo sia dal punto di vista estetico, sia dal punto di vista della sperimentazione e dell’innovazione tecnica.

Infatti, oltre agli splendidi risultati cromatici ottenuti con la tecnica della lavorazione ad acido su vetri a più strati di colore, processo come visto già in uso nella vetreria Gallé, la manifattura Daum è ricordata per aver brevettato nel 1899 la decorazione “intercalaire”, consistente nel rivestire il vaso già lavorato con uno strato di vetro più o meno trasparente, al fine di creare toni “pittorici” sfumati e conferire un effetto prospettico tridimensionale. Un altro dei processi più originali della vetreria Daum è quello delle “polveri di vetro”, che come suggerisce il nome prevedeva l’inclusione di polveri ottenute da vetro colorato frantumato all’interno di uno strato di vetro trasparente, disponendole secondo i propri gusti fino ad ottenere l’effetto desiderato.

Da non dimenticare poi le opere realizzate con applicazioni vitree come maniglie, cabochon e motivi ornamentali in forme naturalistiche, tra cui insetti di vario genere, oppure il “vaso in gabbia” realizzato nel 1920 in collaborazione con Louis Majorelle, così definito per via dell’intelaiatura in ferro e perfetta sintesi di una perizia artigianale multilivello.
La manifattura Daum seppe evolversi e allinearsi, negli anni ’20 del Novecento, alla nuova corrente stilistica dell’Art Déco, anche se indubbiamente fu durante il periodo Liberty che riuscì ad esprimersi con maggior creatività.

Da collocarsi invece nel passaggio fra Art Nouveau e Art Déco è la manifattura vetraia Schneider, avviata dai due fratelli Charles ed Ernest nel 1913 a Epinay-sur-Seine, a nord di Parigi. Curioso il fatto che entrambi si siano formati come artigiani proprio a Nancy, lavorando nei laboratori della vetreria Daum. Questa manifattura è caratterizzata da due linee di produzione, afferenti a due marchi ben distinti tra loro: la prima, marchiata “Schneider”, incarna la realizzazione delle opere artigianali nel vero senso della parola, spesso a tiraggio limitato e caratterizzate da colori vivi e contrastanti ottenuti grazie alle tecniche “intercalarie” o “marqueterie-sur-verre”, mentre la seconda, marchiata “Le Verre Français” e“Charder”, include la produzione industriale comprendente, ad esempio, vasi lavorati con la tecnica della lavorazione all’acido. La vetreria Schneider seppe ben allinearsi con l’ormai maturo gusto floreale e allo stesso tempo sfruttare le nascenti opportunità originate dal cambiamento in corso, tanto che durante tutti gli anni ’20 del XX secolo riuscì a rappresentare perfettamente il gusto Déco attraverso decori stilizzati (mondo vegetale e animale) e geometrie originali, mostrando un chiaro influsso cubista. Il suo punto di forza fu indubbiamente l’innovativo cromatismo, caratterizzato sia da un’ampia scelta quantitativa che qualitativa, attraverso sfumature vivaci e originali: uno su tutti il celebre colore “tango”, un rosso-arancio di una lucentezza e vivacità eccezionali.

Infine, ultimo ma non per importanza, introduciamo la figura che a livello stilistico si differenzia maggiormente rispetto alle produzioni appena analizzate: René Jules Lalique (Aÿ-Champagne 1860 – Parigi 1945), rinomato gioiellere e mastro vetraio formatosi fra Parigi e Londra prima di aprire, nel 1885, un proprio atelier nel comune parigino.

Attivo nel medesimo contesto socio-culturale dei precedenti, René puntò sull’assoluta originalità dei disegni da lui personalmente progettati e sull’altissima qualità e attenzione poste nel processo di lavorazione, in un primo momento applicate prettamente in campo orafo, realizzando gioielli avanguardistici sia nelle forme che nei materiali, tanto da meritarsi l’epiteto di “inventore della gioielleria moderna” secondo Émile Gallé. A partire dagli inizi del Novecento iniziò seriamente a indirizzare il suo estro nel campo del vetro, proseguendo i lavori d’oreficeria, producendo eleganti oggetti in cristallo di rocca e vetro e iniziando a strizzare sempre più l’occhio alla dimensione commerciale, attraverso delle collaborazioni con importanti profumerie: i flaconi da contenitori anonimi iniziano così ad assumere valore artistico autonomo e a fornire un valore aggiunto sia al profumo contenuto che all’azienda produttrice.

Nel 1913, in seguito all’acquisto di un’ulteriore vetreria, riuscì ad aumentare il volume di produzione diversificando tecniche di lavorazione e articoli fabbricati, abbattendo così i costi grazie al processo di industrializzazione. Tra questi ricordiamo servizi in vetro che furono esportati in tutto il mondo e gli originali tappi per radiatori delle automobili, introdotti sul mercato nel corso degli anni ’20 del Novecento.

A livello stilistico i temi ricorrenti nella produzione di Lalique, nonché fonti di ispirazione, furono le figure femminili, la flora e la fauna, protagonisti indiscussi delle sue creazioni sia di gusto Liberty che Déco.

Parte dell’allestimento della mostra “La magia del vetro” nella chiesa di S. Maria della Vittoria

A conclusione di questa panoramica riassuntiva sull’affascinante mondo del vetro d’arte francese tra la fine del XIX e i primi decenni del XX secolo, la quale ci ha permesso di introdurre i principali attori andati in scena, ci teniamo fortemente a menzionare un’interessante mostra attualmente in corso (17 dicembre 2023 – 21 gennaio 2024) presso la chiesa sconsacrata di Santa Maria della Vittoria (Mantova, via Claudio Monteverdi 1).

“La magia del vetro”, titolo della rassegna, è il frutto di una selezione avvenuta all’interno di un’importante collezione privata di vetri situata fisicamente nel nord-Italia ed eseguita con lo scopo di offrire uno spaccato dell’arte vetraia in Francia tra Liberty e Déco, ponendo particolare attenzione ai lavori realizzati con la tecnica della lavorazione ad acido fluoridrico e alla produzione che oserei definire “sommersa”, celata alla vista del grande pubblico in quanto spesso messa in ombra dai grandi maestri affrontati nel nostro articolo.

Infatti, oltre ai lavori di Gallé, Daum, Schneider e Lalique, ci si imbatte nella produzione degli artisti considerati dai più secondari (spesso erroneamente) e in quella di autori “di nicchia” o addirittura sconosciuti, la quale costituisce secondo Flavio Scilhanick, sapiente curatore dell’esposizione, “la vera particolarità – e quindi unicità – della collezione oggetto di questa mostra”.

Perfettamente concordi con tale affermazione, la visita ci ha permesso di poter osservare da vicino pezzi di assoluto valore, caratterizzati da forme, dimensioni, cromie e peculiarità diverse, più o meno rari, ma tutti perfettamente rappresentativi del fertile ambiente socio-culturale che li ha prodotti.

Per tutti i motivi elencati in questa breve trattazione e per la loro indiscutibile bellezza, anche a distanza di un secolo o più, questi vetri straordinari sono ancora oggi un bene di lusso molto apprezzato e ricercato dai collezionisti di tutto il mondo.