Sul ripiano di un tavolo, in un ambiente assolutamente privo di sfondo e di qualsiasi altro elemento architettonico, è poggiato un cestino di vimini ricolmo di fiori: la varietà di questi è estremamente ampia, sia nelle specie che nei colori, e la composizione risulta molto “selvatica”, con anche alcuni fiorellini bianchi caduti sul piano d’appoggio, come se la cesta ricolma fosse appena stata appoggiata dopo la raccolta.
Le cromie, seppur variegate, sono delicate e i fiori emergono dallo sfondo totalmente scuro con un’assenza di contorni che ne esalta l’effetto tridimensionale, dando luce all’opera.
Precisi i dettagli pittorici dell’intreccio della cesta.
L’opera presenta tracce di restauri minimi (piccole zone di dimensioni millimetriche); è stata ritelata e ritensionata su telaio antico, ed è presentata in cornice antica riadattata.
Dimensioni: 37,5 x 47.5 cm. 57 x 67 cm con cornice
CODICE: ARARPI0107607
L’attribuzione dell’opera ad Antoine Monnoyer è convalidata dalla perizia di Gianluca Bocchi.
Antoine Monnoyer ereditò il genio artistico del padre Jean-Baptiste (Lille 1636 – Londra 1699), massimo artista floreale francese della seconda metà del XVII secolo. Egli aveva posto le basi per un genere pittorico altamente decorativo, nel quale la flora e spesso anche la frutta diventano protagoniste indiscusse, strabordanti da cesti metallici, cestini oppure collocate su mensole ornate con motivi classicheggianti.
Antoine iniziò la sua carriera proprio a Londra, attivo in prestigiose committenze quali Burlington House e Kensington Palace, procurategli dal celebre ambasciatore Lord Montaigu. Questi anni sono caratterizzati da una stretta collaborazione con il genitore e a una vera e propria imitazione della sua arte, tanto da meritarsi l’appellativo Young Baptist.
Alla morte del padre si trasferì prima a Roma e successivamente a Parigi, dove rimase fino al 1709 come collaboratore del cognato a Versailles. Qui fu introdotto nell’Académie de Peinture et de Sculpture, sotto l’ala protettrice di Blin de Fontenay. Ne fu influenzato dalle soluzioni formali, tanto da mutare la descrizione dei fiori verso una raffinata leggerezza e morbidezza di tocco. Da qui, a causa di divergenze personali col parente, ripartì per Roma e in un tour attraverso le più importanti capitali europee. L’influenza che la città capitolina ebbe sul corpus dell’artista è ravvisabile soprattutto nella modalità lavorativa: se il padre prediligeva la presa dal vero, il nostro prende dagli artisti romani la consuetudine dell’impiego dei cartoni da riproporre identici in diverse composizioni, al fine di soddisfare la domanda del mercato.
La tela in esame, come indica Bocchi, appartiene proprio a questo periodo più avanzato, durante il quale l’artista licenzia delle opere oramai stilisticamente connotate e riconducibili alla sua produzione e per la quale si conoscono oramai una serie di opere similari.
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