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Carità romana

Dipinto olio su tela

Ambito senese del XVII secolo

Olio su tela

Restaurato e ritelato

Descrizione:

La scena, ambientata in un carcere, come suggerito dalla finestra con le griglie in alto a sinistra alle spalle dei personaggi, raffigura una giovane donna, raffigurata a mezzo busto, porgere il seno ad un uomo anziano, di cui si vede solo il capo; la donna volge lo sguardo all’indietro a guardarsi le spalle con espressione allarmata, mentre con le mani trattiene contro il suo seno la testa dell’uomo che sta suggendo.

Il dipinto è presentato nella sua cornice originale. Si tratta di una cornice barocca, realizzata in legno di tiglio, intagliata a volute fogliacee e con mascheroni urlanti al centro dei lati e negli spigoli; l’intera superficie è dorata a guazzo.

Dimensioni: 82 x 67 cm
con cornice: 114 x 98 cm

Analisi storico-stilistica:

Il soggetto detto de La carità romana rimanda a una leggenda che risale al I secolo d. C., raccontato nel libro “Atti e detti memorabili degli antichi romani” dello storico romano Valerio Massimo (I secolo d. C.).

Essa narra la storia esemplare di Pero, giovane donna che, per salvare il padre Cimone, incarcerato e condannato a morte per fame, lo allatta segretamente in carcere. Scoperta da un secondino, il suo atto di generosità impressiona talmente i funzionari romani, che concedono il rilascio del padre.

La vicenda venne da allora considerata un esempio di pietas (generosità filiale) e onore romano e tramandata ai posteri, nella letteratura e nell’arte.

Nel Medioevo, la storia viene raccontata da Boccaccio nel settantacinquesimo capitolo del De mulleribus claris, in cui Pero viene ricordata non per nome ma come una giovane romana.

In ambito pittorico il soggetto venne ampiamente ripreso a raffigurato nei secoli. Il suo maggior successo si ebbe partire dal periodo post-rinascimentale, tra il XVII e il XVIII secolo. Pittori italiani e fiamminghi si appassionarono al tema e lo proposero nelle loro opere, traducendolo ciascuno con la propria sensibilità, sottolineando l’aspetto caritativo, sempre in chiave profana, e spesso dandone una connotazione erotica, quasi portata al voyeurismo in alcuni casi.

Unica eccezione, l’interpretazione di Caravaggio, che inserì la vicenda nelle sue “Sette opere di misericordia”, riunendo nella scena della ragazza e del vecchio le due opere di misericordia corporale di “dare da mangiare agli affamati” e “visitare i carcerati”: egli tolse ogni ambiguità sensuale alla scena e la caricò di un significato religioso, seppur sottolineando la concretezza della carità e la carnalità della salvezza cristiana.

Il soggetto venne affrontato anche dal Bernini, che ne fece un gruppo scultoreo collocato nella Chiesa di Sant’Isidoro.

Attribuzioni:

L’opera presentata è stata, nel 1985, oggetto di studio della nota studiosa e critica d’arte Mina Gregori (allegata expertise), che l’ha ricondotta alla mano di Bernardino mei (1615-1676).

Pittore senese di origine, la sua prima produzione è legata al caravaggismo diffusosi in quest’area geografica. Successivamente fu attivo a Roma come protetto di papa Alessandro VII, dove subì l’influenza del barocco, in particolar modo di Gian Lorenzo Bernini, del quale tradusse la scultura fortemente scenografica in una tendenza a isolare figure in senso monumentale, raffigurate con pose dinamiche spesso rispondenti o contrapposte tra loro.

Di sicura attribuzione di Mei è una Carità datata 1676, di impostazione decisamente di stampo barocco: nelle figure intere, anziché a mezzo busto come nella nostra, nei movimenti delle figure quasi contorti, nei giochi di luci e ombre in cui si inseriscono e risaltano i colori vividi degli incarnati e dei panneggi, che creano una scena ampia e movimentata.

La nostra opera è invece intrisa di un maggior intimismo, che sottolinea soprattutto la dimensione affettiva, il dramma dei sentimenti, presentandoli in un contesto di colori e giochi di luci non aggressivo, ma morbido e soffuso.

Esiste peraltro un’altra Carità romana a cui la nostra è molto vicina: si tratta dell’opera realizzta da Simon Vouet (1590-1649), il pittore considerato il lpiù importante caravaggista francese.

Tale opera, sino alla seconda metà del ‘900, fu nota solo attraverso le molteplici copie ed incisioni diffuse, e l’originale è stato ritrovato solo negli anni ’80, nel deposito del Museo di Riazan, città non lontana da Mosca, attribuita erroneamente a Guido Reni. La sua datazione rimanda agli ultimi anni del periodo romano di Simon Vouet, durato dal I6I3 al I627, e appartiene al folto gruppo di “mezze figure ” eseguito dall’artista.

Le numerose riproduzioni dell’opera e la sua vasta diffusione, fanno pensare che anche il nostro dipinto possa essere stato ispirato ad essa.

Pur nel rispetto dell’attribuzione dell’illustre studiosa sopracitata, risulta quindi oggi difficile attribuire la nostra Carità romana in maniera definitiva a Bernardino Mei, ma si può senz’altro collocarla per le modalità pittoriche nell’ambito della pittura toscana della prima metà del XVII secolo, ad artista che guardava al pittore senese e alle altre produzioni del periodo.

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