Il ritratto della gentildonna Odescalchi, databile al decennio 1670-1680, si colloca nel contesto della ritrattistica lombarda dell’ultimo quarto del XVII secolo, momento in cui il genere conosce un’intensa fioritura, sostenuta dalle grandi famiglie aristocratiche, protagoniste di una stagione di rinnovato mecenatismo e di affermazione sociale.
L’opera si distingue per la ricercata eleganza dell’impaginato, in cui la figura femminile, resa a figura intera e in posa quasi frontale, campeggia in un ambiente sontuoso, dominato da velluti, broccati e tendaggi di gusto cerimoniale. L’artista adotta una resa meticolosa dei tessuti e dei monili, traduzione pittorica di un gusto che, in questi anni, tende a esaltare l’aspetto ornamentale e il valore simbolico dell’abbigliamento aristocratico.
Il cagnolino bianco posto sul tavolo, insieme all’anello con rubino e al medaglione d’argento, allude alla sfera nuziale e al tema della fedeltà coniugale, suggerendo una destinazione prenunziale o matrimoniale del dipinto.
Dal punto di vista stilistico, il ritratto mostra un linguaggio di transizione: l’artista, ancora legato alla tradizione di Carlo Ceresa nella costruzione solida della figura e nella compostezza dell’impianto, se ne distacca per una maggior luminosità degli incarnati e una nitidezza metallica del modellato, lontana dalle morbide tonalità terrose del maestro bergamasco. Il pittore si avvicina piuttosto alla corrente rappresentata dai ritratti femminili Arconati, già attribuiti (oggi con riserva) a Pier Francesco Cittadini, nei quali il virtuosismo nella resa dei tessuti e la precisione del dettaglio raggiungono vertici di spettacolare raffinatezza.
Nonostante la mancanza di dati certi sull’autore, il dipinto si inserisce nel filone realistico-suntuoso della ritrattistica milanese del secondo Seicento, caratterizzato da una stretta relazione tra pittura e arti decorative (orefici, tessitori, ricamatori), secondo una pratica diffusa fra i pittori “nati in sartoria”, come ricordato da Morandotti.
L’anonimo autore, pur ignorando le più moderne soluzioni introdotte a Milano da Jacob Ferdinand Voet e Simon Adler verso il 1677-1680, più morbide e psicologicamente penetranti, rivela una solida padronanza tecnica e un gusto ancora legato al decorativismo barocco. Il suo stile nitido, luminoso e preciso, attento alla materia e alla lucentezza delle stoffe, fa del ritratto Odescalchi una testimonianza di alto livello artistico, rappresentativa della cultura figurativa lombarda di metà anni Settanta del Seicento e del linguaggio di rappresentanza dell’aristocrazia in età barocca.
L’opera è accompagnata dall’expertise del Professor Giuseppe Sava.