Le chinoiserie e il fascino dell’Oriente
Esotismi e chinoiserie, una moda che si sviluppò nel Settecento con l’avvento del Rococò, ma che si diffuse ampiamente con il Neoclassicismo e anche nel secolo successivo.
L’attrazione verso l’oriente è in realtà molto più antica, già all’epoca dei viaggi di Marco Polo, resi celebri grazie al Milione. La conoscenza di questi luoghi e di culture tanto diverse era possibile proprio grazie ai resoconti dei viaggiatori, spesso commercianti, e alle mercanzie che importavano. Spezie pregiate, stoffe variopinte, piccoli oggetti finemente decorati, sono i prodotti con i quali inizialmente si entrò in contatto con l’arte e lo stile asiatico.
Nel XVIII secolo, esplose la vera e propria moda delle chinoiserie. Gli scambi commerciali subirono un incremento, con la conseguente importazione di un sempre maggior numero di manufatti orientali. Questi erano apprezzati tanto per la resa estetica, estremamente raffinata e decorativa agli occhi occidentali, quanto per le tecniche di realizzazione, spesso tramandate come segreti di generazione in generazione. Oltre all’oggettistica di piccole dimensioni, vennero importati mobili quali tavolini, oppure pannelli in tessuti o carta di riso usati per abbellire le pareti dei grandi saloni di palazzo. Già nel Seicento, le più importanti famiglie nobili erano in grado di procurarsi questi manufatti: nel 1644 gli inventari del Castello del Valentino descrivono tavolini, cofanetti e altri oggetti “fatti alla Chinese”.
Sempre più spesso, però, maestranze locali, così come artisti di grande levatura, si specializzarono nella realizzazione di opere e arredi nello stile orientale, creati ad hoc per una precisa committenza, rispecchiandone dunque le specifiche esigenze. Questi prodotti sono infatti caratterizzati da una commistione tra stili: arredi e complementi dalle forme occidentali, che seguono la moda imperante del momento, come le silhouette mosse del Rococò o quelle successive, più lineari, del Neoclassicismo, ma che sono ornati con soggetti che richiamano invece il mondo orientale. Queste decorazioni sono spesso fedeli a quelle originali, ma ancora di più si rifanno a una visione immaginifica del cosiddetto Catai, con una concezione idealizzata di luoghi e personaggi che corrispondono a un topos oramai radicato nell’immaginario collettivo europeo. Le linee sinuose e i disegni calligrafici dell’arte orientale vengono apprezzati per le infinite possibilità decorative che offrono, da oggetti di piccole dimensioni a grandi pareti.
Nel Settecento fu la Francia la nazione a dettare legge in merito di moda, con il gusto dei sovrani che, partendo dal re Sole e seguito dai degni eredi Louis XV e XVI, videro una vera e propria identificazione del proprio nome con una corrente stilistica. Fu proprio sotto Louis XV, con il Rococò, che i palazzi reali si aprirono alle chinoiserie.
Tra i più importanti esempi di quest’epoca vi è “La Grande Singerie”, boudoir del castello di Chantilly decorato nel 1737 da Christophe Huet, nel quale vengono chiaramente evocate forme e paesaggi asiatici, ma con una vena ironica, rappresentando scimmie antropomorfizzate che svolgono azioni, per prendersi gioco dei difetti degli uomini. Già diversi anni prima un artista del calibro di Jean Antoine Watteau aveva decorato un intero ambiente con dipinti a tema orientale, presso il Château de la Muette, purtroppo andato perduto a causa del rifacimento del palazzo a partire dal 1737.
Assieme alla Francia, un degli altri paesi trainanti di questa nuova moda fu certamente l’Inghilterra. Ampiamente apprezzata dalle famiglie reali inglesi, un’intera stanza per gli ospiti allestita a tema orientale si può trovare a Badminton House già negli anni Cinquanta del XVIII secolo , dove il letto ripropone le forme di una pagoda (Attualmente in loco è presentata una replica di inizio Novecento, l’originale è conservato presso il Victoria & Albert Museum di Londra).
Ma colui che più di tutti fu il principale promotore delle chinoiserie fu senza alcun dubbio re George IV. Egli promosse la costruzione a Brighton del Royal Pavilion come palazzo di piacere, decidendo di allestire alcuni degli ambienti proprio con questo stile. La precisa scelta fu quella di affiancare opere di produzione locale con altre d’importazione.
Arredi, vetrate, moquette, complementi d’arredo e suppellettili dal gusto orientaleggiante furono usati nella Banqueting Room, nella Long Gallery e nella Music Room.
Le pareti di quest’ultima, furono decorate con scene di vita cinese, in oro su fondo rosso, realizzate da Frederick Crace e Henry Lambelet e tratte da Il costume della Cina di William Alexander.
La moda delle chinoiserie proposta da queste due grandi potenze influenzò, prima o dopo, anche le altre corti europee.
Una delle aree più ricettive fu certamente il Piemonte, dove sono apprezzabili diversi ambienti reali decorati alla chinoiserie.
Già nel 1733 sono ampiamente documentati i lavori per il Gabinetto Cinese per il Palazzo Reale di Torino, realizzato sotto la direzione di Filippo Juvarra per volere di Carlo Emanuele III. A questa data i documenti mostrano infatti l’acquisto delle lacche (in realtà avvenuto l’anno precedente), facendo inoltre emergere un aspetto interessante, che ci conferma un ulteriore filone di questa produzione. L’architetto si dimostra infatti consapevole che si trattino di lacche della “China dello Gappone”, ossia di prodotti d’importazione orientale appositamente realizzati per il mercato europeo, dunque con motivi decorativi che maggiormente enfatizzano quelle caratteristiche tanto apprezzate in occidente, quali i particolari naturalistici e i contrasti di colore.
Juvarra fu in grado di adattare e fondere armonicamente questa moda esotica con le forme rocaille che andavano affermandosi, scegliendo appositamente lacche in oro su fondo nero e integrando sapientemente con elementi naturali.
Ma anche altri cantieri subirono il fascino dell’Oriente. A Raccongi fu infatti disposto un intero appartamento cinese per volere di Ludovico Vittorio di Savoia Principe di Carignano, dove sono apprezzabili le pareti rivestite in carta di riso dipinta ad acquerello con scene di vita, importate alla metà del Settecento direttamente da Londra. Ancora qualche anno più tardi è noto l’acquisto di “Chinese Papers” da parte dei Savoia per il Castello Reale di Moncalieri.
Ma la moda per le chinoiserie era oramai diffusa anche nel resto della penisola. Rimanendo nel Nord Italia, uno degli esempi più interessanti è quello della villa di campagna del conte Donato II Silva, a Cinisello (MI).
Qui fu allestito un intero appartamento cinese, del quale non rimane a oggi traccia, ma ci è possibile conoscere solo attraverso la descrizione realizzata dal nipote Ercole Silva, di inizio Ottocento. Composto da due stanze e tre gabinetti, sono documentate le pitture parietali con paesaggi per opera del pittore Carlo Caccianiga, mentre i sopraporta furono realizzati da Agostino Gerli. Noto è un gruppo di arredi, costituito da consolle, sedie e divano, nei quali i montanti sono a figura di telamoni abbigliati alla maniera orientale e che, presumibilmente, furono realizzati proprio per questa committenza.
Del resto anche un ebanista del calibro di Giuseppe Maggiolini, nella realizzazione di uno dei suoi arredi di maggior pregio e usato niente meno che come dono dall’arciduca Ferdinando per la madre Maria Teresa, la scrivania oggi a Vienna, inserì delle riserve intarsiate con scene di vita cinese.
Uno degli esempi certamente più spettacolari e ricchi è però il Salottino di porcellana fatto realizzare negli anni Cinquanta del Settecento per gli appartamenti reali della regina di Napoli Maria Amalia di Sassonia nella Reggia di Portici e trasferito nell’Ottocento alla Reggia di Capodimonte, dove si trova ancora oggi. Vero e proprio gioiello delle manifatture locali, le pareti sono interamente in porcellana dipinta, evocando dunque raffinati decori e personaggi di gusto chinoiserie non solamente nello stile e nei soggetti, ma anche nel materiale, tradizionalmente legato all’oriente.
Per concludere questa breve panoramica su alcuni dei più significativi esempi di chinoiserie europee, un esempio più tardo ma certamente significativo è la Casina (anche nota come Palazzina) cinese di Palermo. Realizzata per Ferdinando III di Sicilia da Giuseppe Venanzio Marvuglia a partire dal 1799, caratteristico è che l’apprezzamento per lo stile orientale non si ritrova solamente negli ambienti interni, ma anche nell’architettura stessa dell’edificio, in particolare nel tetto a pagoda.
Se progressivamente le chinoiserie videro un loro declino come stile scelto da reali e nobili per la realizzazione di alcuni dei loro appartamenti, a oggi sono invece molto apprezzate e ricercate per la raffinatezza di esecuzione, l’esotismo che sono in grado di evocare e soprattutto per l’eleganza che le contraddistingue.