Lo scorso 29 Ottobre 2021 in occasione dell’evento ‘Grand Tour‘, nello spazio temporaneo di Via Borgonuovo 1 a Milano, abbiamo organizzato un incontro di approfondimento sulla figura di Osvaldo Borsani.
Questo articolo è il risultato del prezioso intervento dell’Architetto Maurizio Romanò, esperto di archivi e curatore dell’Archivio StoricoOsvaldo Borsani da oltre venticinque anni, archivio che raccoglie tutta la documentazione relativa all’opera di Osvaldo Borsani e in parte anche del padre Gaetano, fondatore l’Atelier di Varedo attorno al 1925-26.

Osvaldo Bersani nasce nel 1911 e inizia a collaborare col padre molto molto giovane, già durante gli anni del Liceo e poi dell’Accademia. Il padre Gaetano Borsani non è né un architetto né un designer ma erede di una tradizione urbanistica brianzola comunque molto avanzata; fonda una bottega artigianale allargata che però si distacca da tutti gli esempi che c’erano in Brianza in quel periodo.
Gaetano Borsani infatti ha alcune intuizioni che gli permettono di affrancarsi dal clima provinciale e di rifacimento dei mobili in stile. Una delle cose che capisce subito è che bisogna entrare in contatto con determinati ambienti internazionali: in particolare si apre alle suggestioni del tipo tedesco e francese per poterle interpretare e trasmettere attraverso il gusto italiano.
In secondo luogo è uno dei primi che chiama a collaborare con la bottega artigianale una serie di artisti e artigiani specializzati, non essendo egli stesso un designer.
Il primo art director è stato l’architetto Maggioni, che ha cominciato a disegnare per lui in occasione delle prime Biennali di Monza; in seguito, attorno alla metà degli anni ’20, è entrato in scena Osvaldo Borsani che inaugura una nuova stagione in collaborazione col gemello Fulgenzio, che invece si occupa della parte economica dell’impresa.

Gli oggetti presenti al “Grand Tour”, che sono il tavolo, il divano con le poltrone e il tavolino sono tutti del 1941 ma non appartengono ad uno stesso ambiente.

“Io ho fatto una serie di ricerche e sono riuscito a identificarli con certezza perché il nostro archivio conserva tutta la documentazione della forniture che sono circa 11.000. Ad ogni fornitura corrisponde un cliente, e per fornitura si intende sia la persona che poteva comprare quattro sedie sia quella che poteva arredare tre ville: avevano la stessa dignità numerica; in media abbiamo 20-25 disegni a fornitura.

Il divano e la poltrona in realtà Osvaldo Borsani li disegna nel 1935. Il disegno però rimane in fase sperimentale fino al 1941, anno in cui si inizia la produzione di questa tipologia con braccioli in vista.
Quella che noi oggi chiamiamo ‘produzione’, una volta era semplicemente l’individuazione di un modello che poteva essere proponibile ad un certo tipo di pubblico per un certo tipo di gusto, proporlo al cliente realizzandone 4, 5, 10 esemplari al massimo da tenere a magazzino.

Il tavolo ha una lavorazione ebanistica di altissimo livello.

Io in 25 anni sono riuscito a trovarne tre. Nè avrà fatti tre o quattro ma non di più. Lo stesso dicasi per questo tavolino, io ne ho trovati tre, uno che è questo, l’altro è identico ma c’è un motivo decorativo leggermente differente.
Attraverso piccole variazioni, sulla base delle esigenze specifiche

del cliente e dell’ambiente in cui dovevano andare questi pezzi alla fine sono quasi pezzi unici. Questa scelta di fare determinate proposte, mutuata dal padre che chiama degli artisti, viene portata avanti con successo da Osvaldo Bersani con la collaborazione che inaugura a metà degli anni ’40 con una serie di artisti a partire da Lucio Fontana, che torna dall’Argentina nel 1949, e inizia a collaborare in quegli anni con Osvaldo Borsani.

Borsani capisce che la collaborazione degli artisti, a prescindere dal fatto che interessasse o meno il prodotto, costituiva un valore aggiunto al pezzo che lui andava a proporre al pubblico.

Ad esempio, nella realizzazione di una credenza, le maniglie di bronzo potevano essere disegnate da lui (perché in azienda tutto veniva disegnato da Borsani, dalla linea alle chiavi e alle cerniere) oppure – se il cliente desiderava – disegnava la credenza con le maniglie in ceramica fatte da Lucio Fontana.
Quindi l’elemento artistico rendeva la credenza un pezzo unico e costituiva, come dicevo prima, una sorta di valore aggiunto al pezzo.
Tutto ciò prosegue per almeno tre decenni, fino agli anni ’50.

Ad un certo punto della sua esistenza, Borsani capisce che il mondo sta cambiando e che occorre diversificare la produzione. Nel 1953 fonda quindi la Tecno che è una delle prime aziende italiane che si dedica alla grande serie.

Anche in questo caso il contatto con gli ambienti culturali rimane costante.
Nel 1950-51, ad esempio, Enrico Mattei va a firmare un contratto da un avvocato di Milano. Uscendo dice all’avvocato:
“bello quel mobile, chi te lo ha fatto?”
“Un architetto della Brianza e mi interessa fartelo conoscere”.

Così Borsani si precipita da Mattei ed è talmente convincente che Mattei – sulla fiducia – gli commissiona gli arredi di tutto il palazzo Snam a San Giuliano Milanese. Dal palazzo Snam passa all’Eni e dall’Eni passa le grandi commesse in Iran, allora era Persia.
Anche in questo caso quando si reca in Persia e fa grandi arredamenti, si porta gli artisti a completamento.
La cosa che mi ha sempre incuriosito è il fatto che Osvaldo Borsani, pur essendo stato in contatto con personaggi del calibro di Melotti, Fontana, Crippa e tutta l’avanguardia del ‘900 non avesse una collezione personale.

L’altra cosa interessante è il fatto che il rapporto con Fontana, Crippa, tutto il gruppo di Albisola, Agenore Fabbri e Melotti, era un rapporto esclusivamente di amicizia.

Quindi questo rapporto di amicizia – soprattutto in quei tempi – non prevedeva la stipula di contratti, lettere, incarichi, sufficiente una stretta di mano.
Ad un certo punto Borsani va, per raccontare l’aneddoto all’Isola d’Elba, dove deve arredare un grande albergo. Nell’albergo c’è la hall e poi c’è questa grandissima sala da pranzo dove sta facendo degli interventi sul soffitto e gli elettricisti sbagliano qualcosa. Insomma, gli rovinano in parte il soffitto. Allora lui cosa fa? Prende il telefono, telefona a Milano a Lucio Fontana e gli dice “ciao, vieni giù a farti una settimana al mare”; e Fontana una volta arrivato dice: “va che disastro!”. Allora trasforma in tagli questi extra fori. Quando ha finito, “bene-bravo-grazie” e va al mare.

Siccome il mio lavoro consiste prevalentemente nel verificare se una cosa è stata disegnata da Borsani o meno, molto spesso si trovano elementi aggiunti a mobili Borsani da qualche artista.

Possibile che non si trovi documentazione? No, non si trova niente.
Qualche rara volta nelle bolle di consegna c’è una freccetta “qui ceramica”.
Era un altro mondo, erano altri rapporti ed erano persone diverse, molto meno formali. Per quello invece che riguardava l’officina, la produzione, e l’immagine coordinata era di una precisione totale, quadi maniacale.
Tant’è che esiste una documentazione perfettamente in ordine.

L’archivio è visitabile su appuntamento e si trova accanto alla villa che Borsani ha progettato per il papà Gaetano, poi abitata il gemello Fulgenzio, a Varedo.
All’interno c’è una quantità difficilmente credibile di progetti, per vastità e qualità.
Tutto questo costituisce un patrimonio di memorie e saperi che andrebbe conservato in eterno.