Umanesimo: l’invenzione del libro
Quello che da molti è considerato il più bel libro della storia della stampa, il misterioso Hypnerotomachia Poliphili, viene pubblicato a Venezia da Aldo Manuzio nel 1499, allo spirare di un secolo che vede la nascita del libro moderno all’interno del contesto culturale dell’Umanesimo.
Ma che rapporto c’è tra questi due aspetti centrali del XV secolo?
In una lettera al Cardinale Juan de Carbajal del 12 marzo 1455 papa Pio II (l’umanista Enea Silvio Piccolomini) scrive di avere visto a Francoforte i fascicoli sciolti di una Bibbia non scritta a mano ma stampata: è l’inizio della grande rivoluzione di Gutemberg che subito si diffonde in tutta Europa. La scoperta di un nuovo modo, tutto meccanico, di scrivere permette di riprodurre i testi rispondendo alla richiesta sempre crescente di libri da parte della società urbana nel clima nuovo creato dall’Umanesimo.
Spesso si identifica l’Umanesimo con la grande riscoperta degli autori antichi, e soprattutto greci, legata anche ad avvenimenti storici quali la caduta di Costantinopoli del 1453.
In realtà la classicità, e anche la grecità (si pensi alla centralità di Aristotele in campo filosofico), non erano sconosciute al Medioevo: quello che cambia non sono tanto i contenuti, ma le forme di una cultura, l’atteggiamento verso la cultura del passato.
Il nuovo approccio ai testi antichi, che fonda la moderna filologia, porta ad una conquista del senso dell’antico come senso della storia.
Paradossalmente gli Umanisti scoprono i classici perché li distaccano da sé. La visione Medievale del reale statico, astorico, oggetto di contemplazione, dei testi canonici portatori di Verità (ipse dixit), viene superata da un modo di leggere ogni documento, carta, libro, considerando che, così come si presenta, esso è un fatto umano, una traccia e una risonanza umana, e come tale soggetta ad esame e lettura critica. E allora non c’è più un testo immutabile, da chiosare all’infinito, non c’è più una Verità semplicemente da illustrare: il mondo antico parla dell’uomo, del rischio di un’avventura di cui fanno parte l’errore e il dubbio, ma anche la possibilità di scoprire, a partire da lì, un nuovo modo di leggere il reale.
Da qui l’antropocentrismo che contraddistingue il pensiero dell’Umanesimo: come dice Eugenio Garin
“Non si può distinguere nell’Umanesimo la scoperta del mondo antico dalla scoperta dell’uomo perché furono un tutt’uno, perché scoprire l’antico come tale fu commisurare sé ad esso e staccarsene e porsi in rapporto con esso. Significò tempo e memoria, e senso della creazione umana e dell’opera terrena e della responsabilità”.
Non è forse un caso che l’invenzione della stampa avvenga proprio in questo momento: la stessa novità di sguardo riservata ai testi investe anche il mezzo fisico, concreto, che permette ai testi di esistere.
Il processo di riproduzione tradizionale viene reinterpretato dai primi stampatori, analizzato, scomposto nei suoi elementi base, per dare vita a qualcosa di nuovo che cambia lo statuto stesso del libro. Il libro cessa di essere un oggetto quasi sacrale, riservato al mondo ristretto della Chiesa e del potere, simbolo di una concezione esoterica del mondo: non più frutto del tradizionale metodo di copiatura, il libro a stampa diventa il modello di un nuovo modo di concepire il lavoro, di progettare servendosi di procedimenti tecnici e mentali nuovi, per creare quello che si rivelerà il mezzo di diffusione principe di un nuovo modo di pensare il mondo.
Il primo libro stampato in Italia è il “De divinis institutionibus adversus gentes” di Lattanzio, stampato nel monastero di Subiaco nel 1465 da due chierici tedeschi, Corrado Schweinheim e Arnolfo Pannartz, allievi dello stampatore tedesco Schoeffer.
Presto la nuova tecnica si diffonde nella penisola, ma è a Venezia che trova il luogo ideale per la sua fioritura. E proprio a Venezia lavorò l’uomo che più di ogni altro rappresenta questo connubio tra cultura e tecnica, momento cruciale di passaggio nella storia della cultura italiana ed europea: Aldo Manuzio.
Aldo arriva a Venezia già quarantenne, verso il 1490. Nella sua storia anni di studio, prima a Roma, poi a Ferrara, dove studia il Greco, rapporti di amicizia e di stima con i maggiori rappresentanti dell’Umanesimo Italiano: restano le lettere con Poliziano e con Pico della Mirandola, che lo consiglia alla sorella vedova di Lionello Pio, signore di Carpi, come precettore per i figli. Una solida carriera di studioso ed insegnante che Aldo lascia improvvisamente per buttarsi nel complicato mondo dell’editoria della Serenissima.
Quali sono le motivazioni per questa scelta, ad un’età per i tempi già avanzata? Sicuramente Aldo vede lontano e forse intuisce che il suo ideale di diffusione della conoscenza come strumento per raggiungere una più profonda umanità potrà essere raggiunto più efficacemente operando sugli strumenti di questa diffusione, e perciò sul relativamente nuovo mondo della stampa.
A Venezia si muove da grande imprenditore: entra in società con lo stampatore Andrea Torresani che nel 1479 aveva rilevato la storica stamperia di Nicholas Jenson, e da qui lancia il suo grande progetto culturale: rilanciare lo studio dei grandi classici greci, impegnandosi a fornire strumenti di apprendimento (il primo libro pubblicato è la grammatica greca del Lascaris nel 1494) e soprattutto accurate edizioni dei testi.
E’ del 1495 il primo tomo delle Opere di Aristotele, un grande in-folio, l’inizio del suo progetto più ambizioso. In effetti, se avessero chiesto ad Aldo, alla fine della vita, quale fosse il suo libro più bello, non avrebbe probabilmente citato l’ Hypnerotomachia Poliphili, sogno di ogni bibliofilo contemporaneo, stampata per fini più chiaramente “commerciali”, ma proprio l’edizione di Aristotele o quella di Platone, che invece commercialmente si rivelarono un quasi fallimento.
Intorno alla stamperia di Aldo si raduna un gruppo di giovani e meno giovani studiosi del mondo greco: del resto il mitico Cardinale Bessarione già nel 1468 definiva Venezia “una seconda Bisanzio”: quale città più propizia ai sogni di Aldo? Tra le figure che frequentano la chiassosa stamperia di calle San Paterniano spiccano personaggi chiave della cultura del tempo: Erasmo da Rotterdam, che vi si stabilisce nel 1508, anno in cui pubblica per i tipi del Manuzio gli Adagi, per poi pubblicare nel 1515, l’Elogio della follia; Pietro Bembo, collaboratore strettissimo di Aldo, che trova nello stampatore l’alleato per portare avanti la sua battaglia per la definizione della lingua volgare italiana (del 1505 è la pubblicazione degli Asolani).
Il catalogo dei libri contrassegnati dal marchio dell’ancora e del delfino è un susseguirsi di titoli greci e latini, ma non mancano il Petrarca, nell’edizione curata proprio dal Bembo nel 1501, e Dante con le Terze rime (cioè la Commedia) del 1502.
Ma al di là della rilevanza culturale delle edizioni filologicamente curatissime che escono dalla stamperia di Aldo, quello che resta come il suo maggiore contributo alla storia dell’editoria sono le sue innovazioni tecniche.
La creazione di caratteri tipografici di una bellezza e leggibilità ancora insuperabili (il Bembo del De Aetna del 1496, ma soprattutto il corsivo disegnato dall’orafo Francesco Griffo) e soprattutto la pubblicazione di volumi in -8° che cambiano completamente il rapporto tra lettore e libro. Finora il formato prevalente era stato il grande in-folio o il in-4°: grandi volumi poco maneggevoli, molto costosi, che richiedevano banalmente l’uso di un leggio. La grande trovata di Aldo è di pubblicare i testi di autori greci, latini ed italiani, il puro testo, senza apparati critici, in quelli che definisce Enchiridia, libretti che stanno in mano o in tasca, che possono essere letti ovunque, in qualsiasi momento. La pubblicazione delle opere di Virgilio in corsivo e in-8° nel 1501 cambia per sempre il modo di vivere la lettura e rende il libro quello che è ancora oggi per noi.
Non sappiamo se davvero Aldo immaginasse un mondo in cui i libri potessero diventare patrimonio di tutti, al di là di distinzioni sociali ed economiche. Quello che è certo è che in Utopia, la mitica isola sognata da Thomas More nel 1516, gli abitanti possiedono solo edizioni aldine.
Bibliografia:
– Eugenio Garin – L’umanesimo italiano
– Giorgio Montecchi – Il Rinascimento: La stampa e la diffusione del sapere scientifico
– Martin Lowry – Il mondo di Aldo Manuzio
– Giacomo Comiati – Aldo Manuzio: editore, umanista e filologo
– Max Trimurti – Aldo Manuzio, editore umanista a Venezia