Il Codice dei Beni Culturali
A seguito del Testo Unico sui beni culturali del 1999. che si limitava a raccogliere e armonizzare la normativa precedente (si veda l’articolo Storia della tutela), si avvertì la necessità di legiferare nuovamente in modo da uniformare maggiormente le precedenti disposizioni e apportarvi le giuste correzioni.
L’emanazione del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, avvenne proprio in tal senso.
Passo fondamentale è stata l’unificazione in un unico
codice dei due oggetti delle importanti leggi di tutela del 1939, ossia i beni culturali e il paesaggio. Nel primo articolo del codice sono presentati i principi sui quali il testo si basa, partendo dall’articolo 9 della Costituzione, ribadendo la necessità di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale al fine di “preservare la memoria della collettività” e “promuovere lo sviluppo della cultura”. Il patrimonio culturale è costituito sia dai beni culturali che dai beni paesaggistici che presentino delle specifiche caratteristiche, riportate anch’esse all’interno del Codice stesso (artt. 10-11, 34).
Oltre a riprendere procedimenti già in essere da tempo, come il procedimento di notifica, merito del Codice attualmente in vigore è la precisa indicazione della necessità da parte dello Stato, delle Regioni e dei Comuni, di cooperare nello svolgimento delle attività di tutela e valorizzazione.
In particolar modo il Codice si è occupato di disciplinare, ovviamente anche grazie alle successive modifiche, tutte quelle attività sul patrimonio culturale che sono vietate o che necessitano di una regolamentazione, al fine di evitare un danneggiamento o un deterioramento dello stesso. Altresì, per la stessa motivazione sono obbligatorie alcune azioni, in particolare quelle che favoriscono la protezione e la conservazione. Sia per la valorizzazione che per la tutela è richiesta la collaborazione e la cooperazione dei privati. In particolar modo, la seconda spetta sia ai pubblici che ai privati che detengono il possesso del bene. La motivazione è semplice e ha il suo fondamento nella concezione di appartenenza del patrimonio alla collettività della quale è espressione, essendone testimonianza di civiltà.
Per tale motivo il Codice non prevede che un privato che detenga la proprietà di un bene culturale possa disporne liberamente, a discapito anche della sua integrità. Sempre per tale motivazione, ben due capi del codice trattano della circolazione delle opere mobili, sia in ambito nazionale che internazionale, e della loro alienazione. Per quanto riguarda l’alienazione, lo Stato può infatti avvalersi del diritto di prelazione. Non potendo limitare il diritto privato di vendita di un bene culturale (ossia laddove sia intervenuta la dichiarazione della presenza dell’interesse culturale), lo Stato può però sostituirsi nell’atto di compravendita e acquistare il bene stesso.
Altresì il codice prevede una stretta regolamentazione che limita fortemente la fuoriuscita dal territorio nazionale di beni, anche laddove non vi sia ancora stata la notifica come prevista dal Codice. Se tale regolamentazione è finalizzata a evitare che vi sia un’eccessiva dispersione del patrimonio culturale al di fuori del territorio nazionale, allo stesso tempo comporta una forte limitazione nelle attività antiquariali.
Allo stato attuale della situazione normativa è necessario infatti richiedere un certificato di libera esportazione alle soprintendenze, con tempistiche burocratiche molto lunghe, per qualsiasi oggetto che abbia più di 70 anni.
A tal proposito è intervenuta la l. 124/17, che nell’art. 1 comma 175 ha apportato diverse modifiche al Codice, “al fine di semplificare le procedure relative al controllo della circolazione internazionale delle cose antiche che interessano il mercato dell’antiquariato”. Tale legge ha infatti tentato di semplificare la macchina burocratica, evitando la necessità di richiedere l’attestato di libera circolazione per i beni mobili di interesse culturale il cui valore sia inferiore a euro 13.500. Con la stessa legge è stata inoltre apportata un’ulteriore modifica all’art. 63, in materia di disciplina delle attività commerciali di cose antiche o usate. Con l’aggiornamento viene infatti proposta la compilazione da parte dei commercianti di un registro di pubblica sicurezza, nei quali devono essere anche descritte le cose vendute. Il registro deve essere redatto in formato elettronico, in modo tale che il soprintendente possa consultarlo in tempo reale.
Deve inoltre essere suddiviso in due elenchi: uno relativo a quelle cose per le quali è necessaria la presentazione all’ufficio esportazione e uno per le cose per le quali l’attestato è rilasciato in modalità informatica. In questo modo si evita l’obbligo di presentazione della cosa all’ufficio esportazione, rendendo l’operazione più rapida. La finalità non è solamente quella di favorire gli antiquari ma soprattutto di snellire la burocrazia, permettendo ai soprintendenti di concentrarsi in modo più adeguato sulle opere che realmente necessitano di una particolare attenzione.
Nonostante la ricezione di queste modifiche da parte del Codice, sono mancati i necessari decreti attuativi che rendessero concreta tale normativa. Se l’intento a favorire il mercato dell’arte è presente, almeno sulla carta, ci si auspica che venga anche attuato attraverso l’emanazione dei dovuti decreti.
Il nobile fine del Codice è comunque quello di tutelare il più possibile l’ingente patrimonio culturale italiano.
Storicamente una della nazioni dalle quali proviene e che tutt’oggi detiene la maggior parte del patrimonio mondiale, l’Italia è caratterizzata da una legislazione che in tal senso cerca di evitare dei veri e propri saccheggi, soprattutto alla luce dei numerosi depauperamenti avvenuti nel passato. Punto chiave della normativa in vigore, che costituisce un ulteriore salto di qualità dell’attuale Codice, è l’attività di studio. Lo studio e dunque la conoscenza del patrimonio culturale consentono infatti di attuare al meglio le attività di tutela ma anche di valorizzazione. Fondamentale è la presenza di personale specializzato che continui a fare ricerca e a ideare nuove modalità per far in modo che una fetta sempre più ampia di pubblico possa godere in modo adeguato dei beni culturali e del paesaggio.
Naturalmente per supportare queste complesse attività, che prevedono una molteplicità di sfaccettature e situazioni differenti,
è necessario, come già si accennava all’inizio, una fitta rete di collaborazione tra i diversi soggetti. In particolar modo a livello statale tale organizzazione è avvenuta solo in tempi recenti. Prima materia sottoposta al controllo del Ministero dell’Istruzione, il patrimonio culturale ebbe un ministero a esso dedicato solo nel 1975, il Ministero per i beni culturali e ambientali, modificato poi fino alla sua forma attuale di Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo. Questo, attraverso una fitta rete amministrativa centrale e periferica opera, assieme alle Regioni e agli Enti locali al fine di attuare quanto emanato nelle direttive generali promulgate nel codice.