“Le lampade non devono essere belle. In natura non esistono il bello e il brutto.

È bella la farfalla ed è bello il rospo.

La farfalla è fatta per volare sui fiori. Il rospo per nuotare nello stagno”.

Proveniente da una famiglia dedita al commercio dei generi alimentari, a causa delle sanzioni da parte della Società delle Nazioni e del conseguente fallimento dell’impresa, Gino Sarfatti fu costretto a lasciare gli studi per dedicarsi al lavoro.

A svoltare le sue sorti, un amico di famiglia proprietario di una ditta di Murano attiva nella produzione vetri, che lo introdusse nel mondo dell’illuminazione.

Decise dunque di trasferirsi a Milano per aprire la sua prima azienda, la Lumen, che divenne fin da subito una delle realtà più importanti del settore. Diventato socio di minoranza, decise di lasciare l’azienda per fondare un laboratorio di illuminotecnica: Arteluce; il primo store fu in quello che oggi è Corso Matteotti (all’epoca Littorio).

Lampada "194", Gino Sarfatti
Lampada da parete “194”, Gino Sarfatti per Arteluce, anni ’40

Questa prima fase fu caratterizzata da una dimensione del tutto artigianale, dove il progetto non nasce da un disegno quanto da una vera e propria intuizione sulla funzione, ma anche da un’analisi dell’ambiente, delle sue caratteristiche fisiche e di quelle “umane”, quale luogo che deve rispondere alle necessità degli abitanti e ai nuovi stili di vita. Secondo la sua filosofia, solamente questa attenta analisi può portare anche un’evoluzione formale.

Grande attenzione viene posta anche agli attrezzi di lavoro, mai acquistati ma autoprodotti, non solamente

per motivi economici, ma soprattutto perché con strumenti personalizzati si poteva aspirare alla realizzazione di un prodotto finito distinto e anch’esso personalizzato.

Proprio in quest’ottica di continua sperimentazione e ascolto delle necessità del pubblico, la prima produzione fu caratterizzata dalla coesistenza di lampade che richiamassero il gusto storicistico, ancora molto apprezzato, con altre dal sapore più moderno e razionale.

Lampada "2121", Gino Sarfatti
Lampada a sospensione “2121”, Gino Sarfatti per Arteluce, 1961

Nonostante le leggi razziali, l’azienda riuscì comunque a mantenere attiva la sua produzione, sempre presente su riviste del calibro di Domus e Stile, riuscendo a partecipare alla VII Triennale del 1940. Ma Gino era consapevole del pericolo, e decise di spostare l’abitazione della sua famiglia vicino al confine con la Svizzera, che varcò in una rocambolesca fuga, costretto per diverso tempo all’esilio.

Ma anche in questo caso la sua lungimiranza fu in grado di garantire che Arteluce non si arrestasse completamente, avendo conferito procura con pieni poteri a Pinuccia Azzaroni Bassani, segretaria e sua prima contabile: seppur a rilento, la produzione proseguì nonostante la lontananza forzata di Gino e la poca disponibilità delle materie prime.

Il rientro dopo la Liberazione fu immediato, la produzione venne portata subito ai massimi livelli, anche grazie ai numerosi progetti che Gino aveva realizzato durante la lontananza forzata e che non vedeva l’ora di attuare. Oramai era libero dalle costrizioni borghesi che avevano influito sulla produzione degli anni precedenti: Milano doveva essere ricostruita e per questo emersero figure di spicco del razionalismo, come Gio Ponti, i BBPR, Marco Zanuso e con loro molti altri.

È del ’53 il riallestimento del negozio Arteluce, affidato proprio Zanuso, con un risultato apprezzato dallo stesso Ponti, che lo pubblicò con grande risalto sulla sua Domus: Sarfatti aveva compreso che l’estetica del negozio è essa stessa immagine dell’azienda e alla base della sua comunicazione con i clienti.

Lampada "1073", Gino Sarfatti
Lampada da terra “1073”, Gino Sarfatti per Arteluce, 1956

Fondamentale, in questi anni, è il contatto con Vittoriano Viganò, che si occupò prima della ristrutturazione di casa Sarfatti e nel 1950, quando Gino compì un viaggio negli USA, ebbe la direzione artistica di Arteluce, rivelandosi fondamentale per il percorso dell’azienda. Tra i due vi fu un vero e proprio sodalizio, l’uno più concentrato sul prodotto e l’altro sull’architettura.

Gli anni successivi furono caratterizzati da un’intensa quanto attenta produzione e non mancarono certo i riconoscimenti, come attestano le partecipazioni alle principali fiere espositive e concorsi, quali le Triennali e il Compasso d’Oro, dove le sue lampade si distinsero vincendo diversi riconoscimenti. Questi numerosi premi fungono da testimonianza tangibile che gli anni Cinquanta ebbero tra i protagonisti del design proprio Sarfatti.

Ancora una volta le sue lampade sono caratterizzate da un’attenzione alla spazialità, da intendersi sia come capacità di movimento delle lampade stesse o comunque del loro rapporto con l’ambiente, sia in senso letterale, spesso richiamando le forme o le orbite dei corpi celesti. Caratteristica intrinseca di questi anni, fu inoltre una certa componibilità, con un vero e proprio campionario di parti che venivano di volta in volta assemblate in modalità differenti, a creare prodotti l’uno diverso dall’altro, ora anche con una nuova attenzione rivolta alle nuove tecnologie nel campo delle lampadine.

La produzione di ArteLuce divenne definitivamente più coerente e organica.

Plafoniere "3053" e "3010", Gino Sarfatti
Plafoniere “3053” e “3010”, Gino Sarfatti per Arteluce, 1959

Gli anni Sessanta segnarono una svolta nell’azienda: del ’61 è il primo catalogo, dove oramai gli articoli firmati da Gino Sarfatti sono presentati accanto a molti altri di differenti progettisti.

Nel 1962 un altro grande passaggio: lo storico negozio di via Matteotti venne chiuso per uno spazio più ampio, in via della Spiga, progettato da Viganò. Le commesse aumentarono sempre più, in particolare quelle personalizzate, facendo diventare Arteluce una delle realtà maggiormente richieste nell’arredamento navale.

In questi anni vi fu inoltre l’ingresso nell’organico dell’azienda del figlio di Gino, Riccardo e di sua moglie

Sandra Severi, entrambi studenti di architettura al Politecnico di Milano, in grado di apportare nuove forze e dinamicità a un’azienda che andava affrontando un mercato sempre più in espansione. Grande impulso venne infatti dato alle modalità produttive, grazie all’acquisizione di macchinari e strumenti industriali.

Nonostante questo, l’aumento esponenziale delle commesse e dell’impegno dell’azienda resero oramai necessario l’intervento di figure esterne e così Sarfatti, il 24 dicembre del 1973 decise di cedere l’intera attività al gruppo Flos. Questo passaggio cruciale costituì una netta cesura con il mondo del design italiano e internazionale, essendosi Gino ritirato nella sua casa a Griante sul lago di Como, per dedicarsi alla famiglia e all’altra sua grande passione: la filatelia.

Lampada 2042/3, Gino Sarfatti
Lampada a soffitto 2042/3, Gino Sarfatti per Arteluce, anni ’50

Bibliografia di riferimento:

Marco Romanelli, Sandra Severi, Gino Sarfatti. Opere scelte 1938-1973, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, 2012.