La Ceroplastica
La ceroplastica è un’antica tecnica di lavorazione della cera, attestata già nell’antico Egitto.
Usata a lungo in ambito funerario, devozionale e ritrattistico venne impiegata dai tempi più remoti per svariati usi, ma, a causa della grande deperibilità del materiale, sono giunti fino a noi solo rari esemplari.
La cera d’api ha infatti un punto di fusione relativamente basso e si presta quindi ad essere facilmente plasmata: questo consente all’artista di apportare correzioni, aggiunte o oblazioni al modellato in qualsiasi stadio della lavorazione. Grazie a questa sua duttilità e alla possibilità di variarne continuamente la consistenza, la cera può essere lavorata secondo le tradizionali tecniche scultoree: modellatura, fusione in stampi e intaglio.
La cera veniva preparata con additivi, come sego (grasso animale) e trementina , che conferivano all’impasto maggior plasticità. L’aggiunta di pece o resina ne assicuravano invece una maggiore durezza. Una volta preparato l’impasto, si procedeva con la colorazione, ottenuta mediante l’aggiunta- allo stato fuso- di pigmenti in polvere, oppure con la doratura e/o argentatura. La cera poteva poi essere associata ad altri elementi materiali, utilizzati sia come supporti che come ornamenti: frequenti erano le applicazioni di stoffe e inclusioni come vetro, perle, capelli, fili d’oro, ornamenti con metalli preziosi, coralli ecc.
Oltre agli scultori, anche gli orefici e i medaglisti utilizzavano la cera per la creazione di modelli delle loro creazioni.
Così Benvenuto Cellini, scultore- orafo-artista, descriveva la lavorazione della ceroplastica:
“Questa cera si fa così: pigliasi cera bianca pura e si mescola con la metà di biacca ben macinata con un poco di trementina chiarissima; questa vuol essere più o manco, secondo in che stagione l’uomo si truova, perché, essendo di verno, tu gli puoi dare più trementina la metà che la state. Di poi con certi fuscelletti di legno questa cera si lavora in su un tondo di pietra o d’osso o di vetro nero.”
B. Cellini- I trattati dell’oreficeria e della scultura
Le peculiarità della cera – facile reperimento, economicità, duttilità, malleabilità, facilità di lavorazione- hanno fatto sì che venisse utilizzata nel corso del tempo in svariati ambiti: realizzazione di utensili, amuleti, ornamenti, oppure come base per fusioni metalliche di sculture a tutto tondo, gioielli e monete, o come bozza di opere scultoree, o ancora a scopo scientifico, senza ovviamente dimenticare il repertorio devozionale e la ritrattistica.
La lavorazione del modellato avveniva con l’ausilio di strumenti particolari, non lontani da quelli impiegati per la lavorazione dell’argilla, quali stecchi d’osso, di ferro o di legno.
Gli Egizi utilizzavano la cera per la creazione di piccole figure di carattere magico-religioso realizzate tramite la tecnica a colombino o lavorazioni più complesse
(come la sovrapposizione di strati di cera poi intagliati oppure la copertura di un’anima di fibre vegetali tramite strati di cera), fino alla realizzazione di manufatti ottenuti tramite fusione in stampi.
In epoca greca e romana, oltre all’impiego come base per fusioni metalliche di gioielli e monete, si diffuse anche l’usanza di conservare ritratti in cera dei propri antenati (imagines) nell’atrio delle case: lo Ius Imagimun è infatti ben documentato già da Plinio nella Naturalis Historia (Libro XXXV, 6).
E’ verso il Cinquecento che la ceroplastica raggiunge il culmine come materia scultorea vera e propria, sia in ambito ritrattistico che votivo-funerario.
A Firenze, tra il 1200 e il 1500, fiorisce una vera e propria industria di offerte votive in cera. La storia locale narra che nel XIII secolo ad una colonna di Orsammichele era appesa l’immagine di una Madonna che aveva fama di essere miracolosa; i fedeli arrivavano in pellegrinaggio da tutte le parti della Toscana portando ex-voto in cera, «bóti» come erano chiamati, alla venerata immagine di «Nostra Donna».
Se ne accumularono a migliaia, ma andarono tutti distrutti ed addirittura alimentarono le fiamme quando i Guelfi Neri dettero fuoco alla loggia di Orsammichele, all’ oratorio di Nostra Donna e alle case dei Cavalcanti il 10 giugno 1304.
Presto fu ricostruita la Chiesa con l’Oratorio e riprese il culto delle offerte votive in cera. Nel frattempo, comunque, si era già diffusa la fama dei miracoli di un’altra Madonna, alla chiesa della S.S. Annunziata, e la venerazione popolare si riversò su questa seconda immagine. Le offerte votive, i «bóti», che vi affluivano erano di tutte le specie, rappresentavano membra o parti di esse, ritratti, oggetti e anche animali.
Da non dimenticare è poi l’utilizzo della cera finalizzato alla realizzazione di abbozzi preliminari di opere maggiori.
Il Filarete, già a metà del 1400, nel suo Trattato, fornisce alcune informazioni relative all’uso della cera per la realizzazione di modelli in scala ridotta di opere future:
“Lo intagliare quando s’intende bene il disegno è facile cosa: un poco di pratica bisogna, se di cera volete intagliare; perché a chi volesse fare di bronzo è mestiere fare prima di cera, e la cera vuole essere fatta nera e amorbidilla con trementina e sevo, e poi carbone pesto per farla nera, benché chi volesse si potrebbe colorire d’ogni colore: bianca, rossa, verde, azzurra, gialla, e d’ogni colore insomma si può fare”.
Di bozzetti in cera si sono conservati numerosi esempi anche di artisti insigni: tra i tanti da segnalare quello del David di Michelangelo (Firenze, Galleria Buonarroti), quello del Perseo del Cellini (Firenze, Museo Nazionale), quello dell’Ercole e Caco del Bandinelli (Berlino, Kaiser Friedrich Museum), quelli di Ferdinando I de’ Medici (Berlino, Kaiser Friedrich Museum), due rilievi della Passione di Giambologna (Londra, Victoria and Albert Museum).
Verso la fine del 1600 compaiono i primi modelli anatomici in cera: la riscoperta del corpo umano, gli studi dei cadaveri e l’interesse per l’anatomia portano ad un utilizzo della cera anche in ambito medico-scientifico.
La ceroplastica propriamente detta è però una forma d’arte praticata con l’intento di realizzare un oggetto estetico ben definito, accuratamente ornato e decorato, finito nel minimo dettaglio. Le forme più alte di quest’arte sono da rintracciare nella produzione di bambinelli e tableau plastici napoletani e siciliani.