Il Ritratto nella pittura italiana
La volontà di tramandare ai posteri la propria immagine è da sempre presente nell’uomo.
Fin dall’antichità romana, gli imperatori si facevano rappresentare di profilo sulle monete. Seppur idealizzate, queste raffigurazioni erano alquanto fedeli, e il loro volto era certamente conosciuto dai sudditi. L’intenzione di diffondere la propria immagine era tale che gli imperatori, non appena saliti al trono,
si preoccupavano di rifondere le monete che ritraevano il predecessore, per sostituirle con le proprie.
Nel corso dei secoli successivi i sovrani e gli aristocratici di tutta Europa si fecero ritrarre dai più grandi artisti. La vera e propria diffusione del ritratto si ebbe infatti in epoca rinascimentale, in virtù della nuova concezione umanista che vedeva la centralità dell’uomo in quanto individuo.
Famosi ritratti di autori italiani collocati presso le Gallerie degli Uffizi.
Celebre è il duplice ritratto, che riprende la tradizione della numismatica romana, di Federico da Montefeltro e della consorte Battista Sforza, opera di Piero della Francesca e oggi presso le Gallerie degli Uffizi. L’artista fu in grado di cogliere l’austerità militare e il grande carisma del Duca di Urbino, che si fece rappresentare volutamente di profilo per nascondere la mancanza di un occhio, perso durante una giostra.
Se per molto tempo il ritratto rimase appannaggio della nobiltà, ben presto anche la nascente borghesia iniziò a commissionare dei propri ritratti agli artisti. Agnolo Doni, ricco mercante fiorentino, commissionò il suo ritratto e quello della moglie, Maddalena Strozzi, a Raffaello. L’artista dimostrò in questa occasione una grande capacità introspettiva e di resa psicologica. L’acutezza dell’effigiato si intuisce dallo sguardo, mentre la postura sprezzante ne palesa l’alta posizione sociale.
Particolare attenzione deve essere rivolta alla fortuna che il filone del ritratto ebbe in Lombardia, a partire dal XVI e fino al XVIII secolo.
Colui che diede un forte contributo allo sviluppo del ritratto fu Giovan Battista Moroni, artista attivo tra Albino, paese della Val Seriana e Bergamo, ma formatosi a Brescia sotto la guida di Moretto. Moroni fu un artista molto apprezzato dalla committenza locale, sia nobile che borghese. I suoi ritratti, molti dei quali possono essere ammirati nella sala 17 dell’Accademia Carrara, sono infatti caratterizzati da un’attenzione del tutto particolare alla resa della fisionomia e degli abiti. In particolar modo quelli appartenenti agli anni più precoci, come il Ritratto di Isotta Brembati Grumelli, sono caratterizzati da una descrizione oggettiva tipicamente nordica che palesa la conoscenza dell’arte fiamminga, certamente osservata durante il suo soggiorno bresciano.
Ma il motivo che lo fece apprezzare maggiormente da parte dei suoi committenti fu la grande capacità di resa umana e morale dei personaggi rappresentati, in particolar modo degli alti artigiani appartenenti alla borghesia. La tavolozza impiegata dall’artista nella fase più avanzata della sua carriera è invece costituita da una gamma cromatica più piatta e dai colori terrosi. L’attenzione dell’artista è ora tutta concentrata sull’introspezione psicologica. L’attenzione è focalizzata esclusivamente sui volti e sugli atteggiamenti, mentre le stoffe sono sobrie. L’effigiato vuole mostrarsi e farsi ricordare non solo per la propria ricchezza, ma per l’esempio di dignità morale dei quale si fa portatore.
Da Giovan Battista Moroni al “Pitocchetto”.
Certamente influenzato dalla ritrattistica di Moroni fu Giacomo Ceruti, noto anche come il “Pitocchetto”. Anch’egli dedicò un’attenzione tutta particolare alla rappresentazione psicologica di coloro che rappresentava. La sua produzione più nota, quella che gli valse il nome con il quale è oggi conosciuto, vede protagonista l’umanità dei più poveri, dei mendicanti, dei contadini, i cosiddetti “pitocchi”. Ceruti fu in grado, con la sua arte, di dare agli ultimi una nuova dignità.
Non viene negata la loro condizione sociale, ma allo stesso tempo questa si fa portatrice di un nuovo e alto valore spirituale. i “pitocchi” sono raffigurati nello svolgimento delle loro attività quotidiane, colti come in una veloce istantanea che li ritrae e dona loro nuova fierezza.
Grazie alla capacità di empatizzare, Ceruti si fa portatore di quella “pittura di realtà” di tradizione lombarda. Anche gli ultimi possono occupare un ruolo importante nella storia dell’arte, non più destinata solamente ai ricchi e ai potenti.
Nonostante sia questo il filone per il quale Ceruti è maggiormente conosciuto, l’artista fu attivo anche per l’aristocrazia. Apprezzato per le sue doti di ritrattista e la capacità di fare di un semplice ritratto una vera e propria dichiarazione d’intenti, furono numerosi i nobili che gli commissionarono dei ritratti. Il pittore divenne il ritrattista ufficiale della piccola aristocrazia lombarda, anch’essa elevata e insignita di un nuovo valore, al pari dei grandi principi europei.
Ne è un esempio il nostro Ritratto di Giulio Orsini, realizzato entro il 1755, come modello per la realizzazione, quello stesso anno, del ritratto equestre dell’effigiato oggi in collezione Koelliker.