Nato a Parabiago il 13 novembre 1738, Giuseppe Maggiolini rimane presto orfano ed è accolto dai monaci cistercensi presso il monastero di Sant’Ambrogio della Vittoria. Qui frequenta il laboratorio di falegnameria e apprende l’antica pratica dell’intarsio ligneo.
In questi stessi anni riceve i precetti dell’erudito sacerdote Antonio Maria Coldiroli (1728-1793), al tempo insegnante presso il blasonato Collegio Cavalleri.
Egli impartisce al giovane Maggiolini lezioni di disegno e architettura da libri e trattati del Cinquecento italiano.
Non ancora ventenne Giuseppe Maggiolini è già attivo come falegname con una propria bottega che affaccia direttamente sulla principale piazza di Parabiago.
Nel 1758 nasce il suo primo figlio Carlo Francesco (1758-1834) che lo affiancherà nel lavoro per tutta la vita.
Ne sono testimonianza una coppia di tavoli da gioco in legno di noce e cornici ebanizzate firmati dallo stesso Maggiolini e datati 1758, oggi in collezione privata.
Di qualche anno successiva è la commode à pieds elevée conservata presso le Civiche Raccolte milanesi.
Dalle eleganti proporzioni, la commode è interamente rivestita da ampi fogli di radica di noce che esaltano l’esile e aggraziato decoro rocaille, intarsio in legno di bosso finemente ombreggiato e profilato. Queste prime opere sono legate dai medesimi modelli ispiratori: le tavole di Franz-Xavier Habermann pubblicate a partire dal 1756 dell’editore Hertel ad Augsburg che rappresentano mobili disegnati secondo le più estreme forme Rocaille.
Il giovane Maggiolini si mostra così pienamente capace di declinare il mobile lombardo secondo il più aggiornato gusto europeo.
Le buone relazioni a corte valgono al Moriggia l’organizzazione dei festeggiamenti per le nozze tra l’arciduca Ferdinando e Maria Beatrice d’Este, celebrate nel 1771.
E’ nella Milano di quegli anni che Maggiolini conosce e si lega in un proficuo sodalizio con il decoratore e stuccatore Agostiono Gerli (1744-1821). Dopo aver trascorso sei anni nell’atelier di Honoré Guibert (1720-1791) col quale lavora alle decorazioni del Petit Trianon di Versaille, Gerli torna a Milano dove inaugura nel 1769 con i fratelli Giuseppe e Carlo un laboratorio di decorazioni e arredi. Giunge così a Milano un gusto aggiornato secondo la moda francese.
Nella sua bottega di Parabiago Maggiolini esegue mobili su progetto di Gerli, secondo le forme della Rocaille parigina, caratterizzati da rari legni esotici, tinti e ombreggiati, intarsi policromi, preziosi bronzi dorati e finemente cesellati. In questa produzione rientrano due mobili conservati presso le Raccolte artistiche del Comune di Milano: un piccolo tavolo da lavoro e una commode con cineserie tratte dalle stampe di Antoine Watteau (1684-1721) e impreziosita da bronzi dorati con cineserie, mascheroni e serpenti ispirati alla Nouvelle Iconologie di Jean-Charles Delafosse (1734-1791).
Ancora su progetto di Agostino Gerli, nel 1773 Giuseppe Maggiolini esegue una scrivania su commissione dell’arciduca Ferdinando, inviata come dono alla madre, l’imperatrice Maria Teresa d’Austria. Conservata presso il Möbel Museum di Vienna, la scrivania reca a intarsio, su piano e fianchi, cineserie d’invenzione di Giuseppe Levati (1739-1828).
Gusto e moda cambiano però repentinamente nell’Europa di quegli anni. Giungono a Milano le nuove direttive imperiali di Maria Teresa che impongono all’architettura il recupero della classicità. Le due figure cardine, veicolo del nuovo stile, sono Giuseppe Piermarini (1734-1808), nominato nel 1769 Architetto Regio Imperiale, e il ticinese Giocondo Albertolli (1742-1839) chiamato a Milano nel 1774 per occuparsi delle decorazioni del nuovo palazzo di corte. Di conseguenza anche gli arredi devono presto adattarsi ai dettami del nuovo classicismo.
L’ebanista di Parabiago esegue su commissione dell’arciduca mobili pensati come preziosi donativi: una commode è inviata a Modena al suocero Ercole III d’Este, uno scrittoio a Napoli per la sorella Maria Carolina, un secrétaire a Parma all’altra sorella Maria Amalia, un tripode è inviato a San Pietroburgo come dono allo zar e un quadro intarsiato a Varsiavia per il re di Polonia Augusto Poniatowski.
Gli anni a venire vedono le grandi famiglie cittadine aggiornare ville e palazzi secondo le nuove direttive di gusto. Divenuti ormai status symbol, gli arredi eseguiti dall’ebanista di Parabiago sono sempre più richiesti.
Nel 1777 il banchiere Antonio Greppi commissiona a Giuseppe Maggiolini una coppia di commodes. Questi due imponenti mobili oggi spaiati, uno presso le Civiche raccolte milanesi, l’altro in collezione privata, sono eseguiti su progetto di Agostino Gerli, forse l’ideatore dell’ingegnoso meccanismo ad anta centrale che, una volta sollevata, rientra nel corpo del mobile rendendo disponibili i due cassetti interni. Su questi grandi tableaux di facciata, come sui fianchi, sono tradotte a intarsio dall’ormai abile ebanista di Parabiago, allegorie figurative di virtù su disegno del giovane Andrea Appiani (1754-1817). La commode oggi in collezione pubblica è senza dubbio una delle creazioni più rappresentative di Maggiolini, già definita da Alvar Gonzàlez-Palacios “opera monumentale, […] ritenuta da sempre una delle pietre miliari dell’ebanisteria neoclassica italiana. E forse europea”.
Rinnovato il suo palazzo secondo il più aggiornato gusto francese su progetto di Charles de Wailly (1730-1798), il marchese commissiona un importante arredo a Giuseppe Maggiolini. Si tratta di una commode rivestita su tutta la superficie da finissimi intarsi e impreziosita da bronzi dorati. E’ sempre Agostino Gerli che ne definisce l’impianto, mentre per il partito decorativo Maggiolini si affida ancora una volta a Giuseppe Levati. Dell’importante mobile, andato perduto durante il bombardamento che nel 1942 distrusse l’intero palazzo, si conserva il cartone preparatorio e una fotografia scattata nel 1874.
Il progetto, secondo il gusto Louis XVI, spetta a Giocondo Albertolli, le tarsie con figurazioni mitologiche ispirate al tema dell’amore e giochi di putti sono invece eseguite su disegno di Andrea Appiani. I grandi tableaux frontali, le cariatidi femminili in legno dorato e gli ippogrifi di bronzo originali cinquecenteschi, suggeriscono una rilettura del cassone rinascimentale in chiave neoclassica.
Sono anni felici per la bottega di Parabiago che congeda arredi di qualità sempre elevata. Tavoli, secretaires, commodes, scrivanie, piccoli cofanetti, tutti mobili progettati con cassetti e segreti dagli ingegnosi meccanismi. Gradualmente scompaiono i bronzi dorati per lasciare il posto a tessere di legni ombreggiati mediante brunitura nella sabbia rovente. I repertori figurativi finemente intarsiati sono sempre più spesso eleganti racemi, mazzi di fiori e capricci dall’antico: tripodi, cippi, vasi e obelischi, invenzioni derivate dai d’aprés che Giuseppe Levati esegue per Maggiolini di alcune tavole de Le antichità di Ercolano esposte, pubblicate a Napoli tra il 1753 e il 1792. Sempre più frequenti le importanti commesse ricevute dalle famiglie più in vista del tempo, i Borromeo, i Litta, i Trivulzio, gli Andreani, i Carpani, i Visconti di Modrone.
I palazzi di corte sono presto saccheggiati, mobili e arredi venduti all’asta per finanziare l’esercito francese. Le più importanti realizzazioni dell’ebanista di Parabiago sono così disperse, in gran parte per sempre perdute.
Con la fuga delle grandi famiglie cittadine, gli anni a venire sono contrassegnati da enormi difficoltà per la bottega di Giuseppe Maggiolini. Per vedere una ripresa bisogna attendere l’insediamento della corte e l’incoronazione di Napoleone Bonaparte Re d’Italia, celebrata il 26 Maggio 1805 nel Duomo di Milano. I palazzi imperiali devono essere arredati ex novo, dopo le spoliazioni del 1796. Giuseppe Maggiolini è così chiamato per eseguire mobili secondo il nuovo gusto di corte: non più mobili ancien regim dai delicati passaggi cromatici ottenuti da legni policromi, non più nostalgie dell’antico, ma bensì mobili dai profili duri e militareschi, decorati da tarsie a ghirlande floreali su campiture di mogano e impreziositi da scintillanti bronzi dorati.
A commissionare arredi alla bottega di Parabiago non sono più le famiglie aristocratiche di un tempo, ma funzionari del governo napoleonico o borghesi cittadini come avvocati e medici. Prende così il via una vasta produzione di bottega, quasi seriale, design ante litteram, di commodes, tavolini, secretaires, tutti eseguiti con piccole variazioni di intarsi, sempre ripetuti e modulati a seconda delle possibilità di spesa dei committenti. Solo per la realizzazione di arredi per clienti di riguardo, Giuseppe Maggiolini si affida ancora a Giuseppe Levati, ormai professore di Prospettiva presso l’Imperiale Accademia di Belle Arti di Brera, a Carlo Cantaluppi o a Girolamo Mantelli.
La bottega prosegue il lavoro di ebanisteria fino al 1834, diretta dal figlio Carlo Francesco, affiancato dal collaboratore Cherubino Mezzanzanica. Ciò che si salva della gloriosa manifattura di Parabiago è l’archivio dei disegni costituito da oltre duemila fogli utilizzati da Giuseppe Maggiolini per l’esecuzione di arredi e tarsie durante tutto l’arco della sua brillante carriera. L’intero corpus di disegni e progetti passa nelle mani del figlio di Cherubino Mezzanzanica, quel Giacomo Antonio (1826-1880), allora parroco di Albignano, che dedica a Giuseppe Maggiolini, al figlio Carlo Francesco e al padre Cherubino, la prima storia della bottega, pubblicata a Milano nel 1878. Pochi anni dopo il prezioso archivio compare sul mercato antiquario, presso il commerciante Pietro Grandi con negozio in corso Venezia.
FineArt by Di Mano in Mano è un team di esperti al vostro servizio per valorizzare al meglio mobili, quadri, oggetti di alto antiquariato, arte e Design