Giocondo Albertolli

Giocondo Albertolli fu tra i protagonisti dello stile neoclassico, esponente di quella cultura dei lumi che caratterizzò le arti a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo.

Nato nel distretto di Lugano, a Bedano, il 24 luglio 1742, fece i suoi primi studi ad Aosta, dove il padre Francesco Saverio lavorava in qualità di architetto. Fin da giovanissimo fu avviato alla carriera artistica.
Nel 1753, appena undicenne, venne infatti mandato a Parma presso la bottega dello zio. Il primo approccio all’arte di Giocondo dovette essere probabilmente caratterizzato dalle attività tipiche delle botteghe di stuccatori ticinesi: disegnare, modellare e realizzare gli stucchi. Nel 1768 è inoltre indicato come allievo di Benigno Bossi, altro artista parmense attivo in diversi cantieri della città.
Parallelamente alla formazione artigianale presso diverse botteghe, il nostro seguì anche quella artistica presso l’Accademia di Belle Arti di Parma, partecipando anche agli annuali concorsi accademici e risultando vincitore in due di questi.

In quegli anni la cattedra di architettura era ricoperta dal celebre architetto Ennemond Alexandre Petitot, al quale si devono le ornamentazioni per le più importanti e grandiose opere per le prestigiose committenze di Parma. Nonostante l’Albertolli stesso, nelle sue memorie, non ricordi alcun contatto diretto con l’architetto francese, ben si può intuire come ne dovesse esserne necessariamente influenzato, probabilmente avendone seguito i corsi accademici e avendo visto le opere da lui dirette nei cantieri parmensi.

Fin da subito emerse la grande abilità di ornatista dell’Albertolli, oramai in grado, poco più che ventenne, di realizzare stucchi autonomamente.
A ventisette anni venne infatti indicato come stuccatore di professione. Nel 1770 realizzò la decorazione di alcuni degli interni del palazzo fatto costruire dal marchese Scipione Grillo di Monterotondo (oggi Palazzo Marchi). Qui emersero le caratteristiche stilistiche che si caratterizzeranno come costanti nella carriera del nostro. Giocondo Albertolli si dimostrò infatti in grado si coniugare sapientemente quanto appreso durante gli anni della formazione, in particolare il gusto tipico dei quadraturisti del Rococò ed elementi ornamentali di gusto Luigi XVI derivati dall’opera di Petitot. Albertolli non si limitò semplicemente a riprendere tali elementi, ma li rielaborò in base alla propria sensibilità.

Il 1771 fu un anno fondamentale per l'Albertolli, durante il quale fu consacrato tra quel novero di artisti i cui servigi erano contesi tra le principali corti della penisola.

Venne infatti chiamato da Pietro Leopoldo per lavorare presso la sua corte toscana. In particolar modo il nostro fu convocato in qualità di capo degli stuccatori parmensi, quale ideatore per alcuni degli arredi e per le decorazioni voluti dal granduca per la sua dimora di Poggio Imperiale. Il lavoro dell’Albertolli presso la corte fiorentina fu certamente apprezzato, come dimostra la chiamata dell’artista a Milano, nel 1774. La città era infatti sottoposta al governo di Ferdinando, fratello di Pietro Leopoldo, che certamente aveva suggerito l’ingaggio dell’artista ticinese.
Albertolli incarnava dunque quel gusto espressione di ricchezza ed eleganza tanto cara alla famiglia degli Asburgo. Il suo intervento veniva richiesto nei cantieri dei grandi palazzi di rappresentanza che i due arciduchi stavano facendo realizzare nelle città assoggettate al loro controllo.

La convocazione milanese avvenne per mano di un altro grande architetto, Giuseppe Piermarini. A capo del grande cantiere per il Palazzo Arciducale, Piermarini era alla ricerca di uno stuccatore aggiornato sulla nuova maniera d’ornare e, come si è già accennato, il nome dell’Albertolli fu probabilmente suggerito dai due fratelli della casata Asburgo. Se per i primi anni Giocondo Albertolli continuò a spostarsi tra Firenze a Milano, si stabilì definitivamente nel capoluogo lombardo a partire dall’agosto del 1775. Negli anni successivi proseguì il lavori per il palazzo e ottenne un altro prestigioso incarico.

Dal 1776 (e fino al 1812) divenne infatti insegnante presso la neonata Accademia di belle arti di Brera, dove occupò la cattedra di ornato. Il suo corso risultò essere tra quelli più apprezzati e seguiti, come ricorda lo stesso plenipotenziario Firmian. Albertolli doveva essere certamente fiero di ricoprire questo prestigioso ruolo, come dimostra anche l’aver declinato nel 1781, l’invito ad insegnare presso l’Accademia di Parma, presso la quale egli stesso si era formato.
Certamente l’apprezzamento dell’Albertolli crebbe in questi anni, consentendogli di accedere ai principali cantieri milanesi e conoscere i più importanti artisti dell’epoca.

In particolar modo, il nostro ebbe l’intuito di comprendere la mancanza di un vero e proprio repertorio con i motivi ornamentali tipici della Nuova Maniera, dal quale i decoratori e gli architetti potessero attingere all’occorrenza. Probabilmente anche grazie all’esperienza di insegnante, negli anni Ottanta del XVIII secolo, Albertolli fece stampare la sua prima raccolta di modelli ornamentali: Ornamenti diversi inventati, disegnati ed eseguiti da Giocondo Albertolli.

Da quest’opera, seguita da altre, emerge come l’artista sia stato in grado si riprendere motivi decorativi dal sapore archeologico che, decontestualizzati dal loro originario impiego e filtrati attraverso l’utilizzo che ne fece la Firenze rinascimentale, diventano i veri protagonisti dell’ornamento. Il committente e gli spettatori si ritrovano ad ammirare modelli dell’antichità classica ben noti, oramai posti al centro della rappresentazione. L’estrema sensibilità di Giocondo Albertolli si dimostra sia nella capacità di accostare questi elementi eterogenei, sia nelle cromie: mezzetinte delicate nei fondi si alternano agli stucchi lasciati a gesso e alle bordure dorate.

Purtroppo, di tutti gli ambienti del Palazzo Arciducale, decorati sotto la direzione dell’Albertolli, solamente quello che era destinato ad essere la sala delle udienze è sopravvissuto. Sfortunatamente tutti gli altri sono andati distrutti dai bombardamenti alleati del 1943. Anche l’arredo che il nostro progettò è andato perduto; di esso si conservano solamente una coppia di tavoli a consolle ancora oggi presso Palazzo Reale e poco altro.
L’apprezzamento del lavoro realizzato dall’Albertolli fu tale che una volta conclusosi il cantiere del Palazzo arciducale, fu chiamato ad occuparsi delle decorazioni della villa di Monza. Sempre in questi anni fu inoltre attivo in altri due cantieri milanesi guidati da Giuseppe Piermarini: Palazzo Belgiojoso e Palazzo Greppi.
Tra i suoi altri contributi più celebri vi è la villa Melzi d’Eril a Bellagio, sul lago di Como.

Morì a Milano il 15 novembre 1839, dopo aver formato numerosi allievi e aver lavorato con vari artisti, che per molto tempo usarono ancora il suo ricco catalogo di modelli come riferimento per la loro produzione.

Enrico Sala

Enrico Sala

Perito antiquario presso il Collegio Lombardo Periti Esperti Consulenti e presso la Camera Commercio Milano-Monza-Brianza.
Da 25 anni nel mondo dell’antiquariato, da 20 presso l’azienda Di mano in mano.

Dopo 10 anni di restauro di mobili antichi assume la responsabilità del settore Antiquariato occupandosi, oltre alla direzione commerciale, di stime, valutazioni e perizie in qualità di perito antiquario.

Persegue con passione, anche attraverso la propria attività, lo studio delle arti decorative con particolare attenzione al mobile lombardo.