Giulio, Antonio e Vincenzo Campi furono tre artisti, fratelli, attivi nella Lombardia del Cinquecento. Pittori molto richiesti sia da committenze religiose che laiche, i tre avviarono una vera e propria bottega di famiglia a Cremona, loro città natale, ma la cui attività arrivò fino a Milano.

Cremona fu caratterizzata, per tutto il corso del Cinquecento, da un fervido e prolifico ambiente artistico. La posizione di confine consentì alla cultura locale di aprirsi nei confronti delle influenze venete, emiliane, milanesi e mantovane. Questa caratteristica ebbe riscontro nelle numerose commissioni artistiche, favorendo il proliferare dell’attività di artisti “forestieri” del calibro di Romanino e Pordenone. Altrettanto fondamentali per lo sviluppo della cultura artistica cremonese furono i rapporti con l’Europa settentrionale (in particolar modo con l’ambiente fiammingo nei primi decenni del Cinquecento).

In questo animato ambiente culturale si sviluppò la bottega della famiglia Campi. Il capostipite fu Galeazzo, padre dei tre fratelli e anch’egli attivo come pittore a Cremona. Ebbe una scarsa influenza sullo stile dei figli, tanto che il vero e proprio avviatore della scuola campesca può essere identificato nella figura del suo primogenito, Giulio. Questi ricoprì anche il fondamentale ruolo di guida per l’avvio dell’attività dei due fratelli minori. La produzione artistica della famiglia fu richiesta da numerosi committenti, per la capacità di far proprie le innovazioni di quegli anni pur mantenendo i propri caratteri distintivi. La bottega dei fratelli Campi si distinse nell’ambiente cittadino anche per la formazione di diversi allievi (uno dei più noti fu Lattanzio Gambara).

La fama raggiunta da questi artisti fu grande e tale venne mantenuta anche nei secoli successivi.

La produzione artistica dei tre fratelli è caratterizzata da una certa comunanza stilistica, sotto la guida del maggiore tra i tre, Giulio.

Al contempo va indubbiamente riconosciuta la capacità ad Antonio, e ancora di più a Vincenzo, di aver intrapreso una propria e personale strada. Se per alcune opere ancora oggi permane il dubbio su chi sia l’autore tra i tre, si assiste a un progressivo passaggio, dal maggiore al minore, da un’arte più di maniera a una maggiore ricerca di naturalismo. Fondamentale per la formazione artistica di Giulio fu un viaggio mantovano, dove entrò in contatto con Giulio Romano, tra i più celebri allievi di Raffaello. Questo incontro ebbe delle enormi ripercussioni sulla sua produzione: nelle opere di Giulio Campi è infatti riscontrabile una maggiore attenzione ai modelli raffaelleschi e michelangioleschi a partire da questo momento.

Tra le campagne principali che dimostrano quest’influenza vi sono gli affreschi della chiesa di San Sigismondo a Cremona, impresa che, come molte altre, vide la presenza di Antonio al fianco del maggiore.

In questi anni l’arte di Antonio fu caratterizzata da una vicinanza stringente con quella di Giulio, grazie alla posizione di insegnante che questi ricoprì. Se alcune commissioni registrano i pagamenti a nome del solo Giulio, è oramai attestato che in realtà i due collaborarono nella realizzazione delle opere. È il caso delle sale affrescate in Palazzo Barbò a Torre Pallavicina (BG), exempla del manierismo. Sono infatti richiamate le muscolose figure michelangiolesche e i modelli classici (il volto del Nettuno nella sala al primo piano è derivata dal Laooconte). Ampio spazio è inoltre dato dalla decorazione a grottesca, impiegata in diverse occasioni dai nostri.

Fu solamente con gli anni Sessanta che Antonio iniziò a personalizzare veramente le proprie opere, distinguendosi sempre più dal fratello. Questo cambiamento lo portò a essere il favorito dalla committenza di Milano, dove i due si trasferirono in questo decennio. Numerose sono le opere realizzate per le più importanti chiese cittadine o per committenti di prestigio.

Antonio Campi – Il mistero della passione di Cristo
Del 1569 è la celebre Crocifissione con episodi della Passione di Cristo, conservata presso il Musée du Louvre.


Ma le due tele nelle quali è veramente apprezzabile l’innovazione della quale Antonio fu portatore sono più tarde: 

la Decollazione del Battista del 1571 e il Martirio di San Lorenzo del 1581, entrambe realizzate per la chiesa di San Paolo Converso. In questi dipinti emerge una maggiore attenzione alla resa naturalistica, certamente a seguito di studi di modelli dal vero, anche per gli effetti luministici.

Antonio Campi – La decollazione di San Giovanni Battista
Antonio Campi – Il Martirio di San Lorenzo
Il vero e proprio innovatore tra i tre fu però il più giovane, Vincenzo.

Anch’egli, così come Antonio, apprese l’arte della pittura grazie agli insegnamenti di Giulio. Una vera e propria svolta nella carriera di Vincenzo avvenne nel 1572. A seguito della morte di Giulio, il più piccolo dei Campi iniziò ad affiancare Antonio nelle prestigiose commissioni di quegli anni. L’arte di Vincenzo subì un vero e proprio cambiamento stilistico, caratterizzato da una riflessione sull’arte bresciana e in particolar modo quella del Savoldo. Anche la ricerca di naturalismo si mostra differente dalle ricerche analoghe già avviate dai fratelli, le quali risentivano comunque dell’influenza della “maniera”. La ricerca naturalistica di Vincenzo fu caratterizzata da un’attenta indagine del dato del vero che si rivede ancora di più nella resa della luce, anticipando gli effetti spettacolari che furono raggiunti da Caravaggio.

Il filone pittorico più prolifico, sviluppato a partire dagli anni Ottanta, è costituito da un’alta carica espressiva nella rappresentazione dei personaggi.

Negli anni Novanta vennero realizzate le sue opere più note, caratterizzate da un intenso realismo popolaresco di chiara ascendenza nordica.

Vincenzo fu però in grado di trattare l’argomento in un modo personalissimo. Rese le scene delle vere e proprie nature morte con la presenza di personaggi appartenenti al basso ceto. Opera che al meglio esplica questa tipologia stilistica è La fruttivendola, conservata presso la Pinacoteca di Brera.

Vincenzo Campi – La Venditrice di Frutta
Giulio, Antonio e Vincenzo costituiscono pertanto un’importantissima testimonianza dell’arte lombarda del XVI secolo. La loro opera è dimostrazione del fervido ambiente culturale del nord Italia,
caratterizzato da forti influenze provenienti tanto dal centro della penisola quanto dal nord Europa, rielaborato secondo una personale sensibilità da ciascuno dei tre fratelli.