Dal 19 novembre 2021 e fino al 27 marzo 2022, presso le Gallerie d’Italia di Milano, è possibile visitare la mostra Grand Tour. Sogno d’Italia da Venezia a Pompei.

L’esposizione si concentra sul celebre fenomeno assai diffuso nella nobiltà e nella borghesia europea tra la fine del Seicento e la prima metà dell’Ottocento. Come ben esplicato nella presentazione alla mostra, il viaggio non era appannaggio solamente delle élite, ma anche di intellettuali, letterati e artisti che volevano completare il loro percorso formativo.

La mostra vuole dunque porre l’accento proprio sulle opere e rappresentazioni nate in questo contesto, sia per mano di artisti stranieri che italiani, che hanno contribuito a rafforzare l’immaginario identificativo dell’Italia, con le sue tradizioni, i suoi costumi e i suoi paesaggi, come il “Bel Paese”.

Nel percorso espositivo vengono presentati i molteplici aspetti del Grand Tour, dalle città e luoghi mete predilette dei viaggi, ai temi che affascinavano maggiormente i viaggiatori.

Le varie sezioni accostano spesso tra loro opere di artisti di diversa nazionalità, mostrando le diverse sensibilità delle personalità che si approcciarono a soggetti simili. Curiosamente emerge come ad attirare l’attenzione sia spesso il dato atmosferico e luministico, con dipinti che si concentrano sulla resa degli elementi, potendo addirittura dedicare un’intera sala alle innumerevoli rappresentazioni del Vesuvio che erutta, spettacolo certamente scenografico e in grado di colpire gli spettatori.

Una sezione è dedicata anche al ritratto, genere ben più antico, ma che in quest’epoca vive una rinnovata fortuna proprio legata al grand tour. Soprattutto le classi nobili, passarono dal richiedere ritratti encomiastici, a favore di un ritratto più naturale, dove l’effigiato era collocato in un contesto ambientato da rovine ed edifici classicheggianti. Il nuovo ritratto con queste modalità divenne un vero e proprio status symbol e suo principale rappresentate fu Pompeo Batoni, molto richiesto dalla committenza straniera.

Interessante notare come nella mostra venga dato ampio spazio non solo alla pittura e alla scultura, ma anche a tutte quelle forme artistiche, convenzionalmente definite come le cosiddette arti decorative.

“Oggetti d’arte e manifatture del lusso”, preziosi souvenir che venivano ricercati e richiesti dai facoltosi viaggiatori, da riportare in patria quale testimonianza del soggiorno italiano.

Nelle principali città meta dei pellegrinaggi ecco che si svilupparono e si affermarono botteghe specializzate nella produzione di questi oggetti, ad esempio a Roma ci furono i celeberrimi bronzisti Luigi e Giuseppe Valadier, il primo nominato da papa Pio VI soprintendente ai restauri dei bronzi antichi e legature dei camme nei Musei Sacro e Profano. Nell’esposizione sono proposti vasche a vasi tipici della loro produzione, che vedevano la commistione di marmi ricercati, quali bianchi, verdi e porfidi e bronzi dorati di alta qualità e dai disegni ricercati.

Anche i piani commessi fiorentini e romani erano molto richiesti, veri e propri campionari delle specie lapidee, continuando la tradizioni degli opifici, quali quello dei Raffaelli. Specializzandosi anche in vere e proprie composizioni, non più prettamente a tema religioso, ma anche rovine antiche e vedute della città, delle vere e proprie cartoline ante litteram, e ancora nature morte o composizioni, come la coppia di piani con vasi antichi, su modello di Antonio Cioci.

Un’altra tecnica che si affermò alla metà degli anni Ottanta del Settecento a Roma fu quella del biscuit, grazie alla manifattura di Giovanni Volpato. Ecco allora che in mostra viene presentato un centrotavola di sua produzione, con un Trionfo di Bacco e Arianna, Apollo e le Muse, vero e proprio complesso decorativo che esemplifica al meglio l’apprezzamento per l’antichità classica ma al contempo la ricerca di scenografia e ricchezza con la quale si volevano stupire gli ospiti.

Michelangelo barberi

Affermata sempre in ambito romano, è la tradizione dei micromosaici, realizzati con tessere millimetriche per realizzare veri e propri dipinti, anche su piani di tavolo, come nell’esemplare qui presentato di Michelangelo Barberi.

Come emerge, questa esposizione vuole porre evidenza sul filo conduttore tra l’antichità classica e la produzione contemporanea. Se ben noto è l’apprezzamento delle sculture greco-romane, appartenenti da secoli alle collezioni più importanti, nel XVIII secolo le scoperte delle città sepolte dal Vesuvio riportavano alla luce anche oggetti della quotidianità, con scopo votivo e apotropaico, arredi domestici, immediatamente presi a modello, riprodotti o ai quali ispirarsi per le nuove produzioni destinate ai viaggiatori. Le antichità riscoperte, spesso mutile, erano affidate a scultori specializzati in restauri integrativi, che spesso veniva fatto in modo filologico, ma anche alquanto arbitrario.

In mostra viene presentato questo filone, accostando tra loro opere antiche, caratteristico e ampiamente riprodotto il braciere su tripode con satiri itifallici, con altre di produzione moderna e ancora i già citati interventi di restauro integrativo. Interessante è la statua di Artemide Efesia, scultura in alabastro del II secolo d.C., mutila del volto, delle mani e dei piedi, completati dai già citati Valadier; o ancora il rhyton reintegrato dall’atelier di Piranesi con un becco a testa di cinghiale.

Questa mostra offre un excursus attraverso un fenomeno tanto diffuso, specchio della società e della cultura di questi anni e che a sua volta ha influito sulla filosofia e sull’arte contemporanea.